sabato 29 giugno 2013

Ristrutturare il debito? Inutile, anzi dannoso, finché restiamo incatenati all'euro

di Fabrizio Tringali
Pubblicando sul suo blog questa interessante intervista, Emiliano Brancaccio puntualizza una questione molto importante: nelle attuali condizioni, una ristrutturazione del debito pubblico sarebbe deleteria.
L'economista afferma che "una ristrutturazione unilaterale del debito, attuata senza risolvere il problema del disavanzo delle partite correnti, implica l’esigenza per il paese di tornare a chiedere prestiti all’estero appena dopo avere rifiutato di pagare quelli assunti in precedenza".
Sarebbe davvero importante che se ne rendessero conto quanti propongono campagne in questo senso, audit sul debito e cose simili.
Dato che la crisi è causata dallo squilibrio nelle partite correnti (cosa ormai largamente riconosciuta), e quindi dal debito privato, se l'Italia ristrutturasse il debito pubblico, non risolverebbe nessuno dei suoi problemi economici.
Dopo il default, lo squilibrio nelle partite correnti resterebbe tal quale a prima. E l'indebitamento privato continuerebbe a spingere verso l'alto il debito pubblico (date un'occhiata al rapporto debito/PIL della Spagna, prima della crisi ed oggi: nel 2007 era appena al 36%, molto inferiore rispetto a quello della Germania! Ed ora è schizzato fino all'88%).
Dunque, una volta ristrutturato il debito pubblico, il Paese continuerebbe ad essere considerato a rischio default e le fatiche per finanziarsi non diminuirebbero.
E, per giunta, si dovrebbe andare a chiedere soldi proprio a quei creditori ai quali si avrebbe appena tagliato il valore dei crediti! Come pensate che si comporterebbero?
E' ovvio che la cosa non potrebbe funzionare.

In sintesi la questione può essere semplificata e sintetizzata così: Tizio guadagna meno di quanto spende, c'è la crisi e le sue "entrate" diminuiscono sempre più. Di conseguenza si indebita. Ha diversi creditori cui deve soldi.
Siccome non li può pagare, decide di tagliare il debito: comunica ai creditori che non li pagherà (o li ripagherà solo in parte).
In questo modo Tizio diminuisce le "uscite" in quanto abbassa le quote di interessi che deve pagare ai creditori. Tuttavia la crisi continua, ed egli continua a veder diminuire le sue entrate. Di conseguenza Tizio continua ad avere necessità di finanziamento. Il problema però è che, a questo punto, Tizio deve tornare a chiedere soldi a quei creditori cui ha negato la restituzione del prestito....
Come pensate che finirebbe questa storia?
Per fortuna l'Italia non è Tizio. Uno Stato non è un privato, e, recuperando sovranità monetaria, esso può agire sul cambio valutario per spingere verso un riequilibrio.

p.s. è ovvio che se davvero l'Italia ristrutturasse il debito, l'euro finirebbe il giorno dopo, anzi il giorno stesso, per motivi che si possono dedurre da quanto esposto sopra. E altrettanto ovviamente, finirebbe in modo molto traumatico.
Molto meglio decidere prima di uscire, dotandosi degli strumenti politici ed economici per gestire al meglio la situazione.

venerdì 28 giugno 2013

La violenza del PUDE

Giuro che non mi invento nulla.

Appena sentito dalla trasmissione televisiva di Lilli Gruber, Otto e Mezzo. Ospiti Eugenio Scalfari e Giovanni Floris. Entrambi sono chiamati a commentare le parole di Francesco Gaetano Caltagirone, il quale ha affermato il giorno prima (giovedì 26 giugno) che o la BCE si mette a "stampare denaro", oppure all'Italia conviene uscire dall'euro. Scalfari si stupisce che una persona di quel calibro non sappia certe cose, e cioè che senza l'euro diventeremmo come il Marocco e l'Egitto, perché la speculazione internazionale "giocherebbe a palla con la nostra moneta nazionale". Floris rincara la dose, affermando che noi staremmo peggio del Marocco e dell'Egitto, perché quelli "sono paesi che crescono", e quindi noi uscendo dall'euro SPARIREMMO DALL'ECONOMIA GLOBALE (sic), e diventeremmo un paese dal quale i giovani scappano molto più che adesso, e nessuno lavora più. E ancora, il conduttore di Ballaro' chiarisce che l'euro non è responsabile della crisi italiana, in quanto l'Italia non sta male per colpa dell'euro, ma perche "non cresce" e "ha diversi problemi". Che è un po' come dire che l'Italia sta male perché sta male.

 Tutti e tre giornalisti convengono che purtroppo la critica all'euro è molto popolare, e che starà agli italiani determinare la nostra permanenza. Scalfari sottolinea l'importanza dell'informazione, che non deve limitarsi a dare la voce alla gente, ma deve educare la gente. Il che, detto nel contesto suddescritto, fa semplicemente rabbrividire.

Scontata la malafede dei giornalisti in questione, preme evidenziare come queste parole dimostrino chiaramente la natura dello scontro in atto. Lo scontro non è tra diverse opinioni, ma tra la ragione e la disinformazione, la verità e la menzogna, e infine la libertà e l'oppressione. Suona esagerato e enfatico? Si rilegga quanto riportato sopra. Abbiamo a che fare con delinquenti che spargono, scientemente, terrorismo tra i cittadini. I quali cittadini possono cadere nella trappola solo se pesantemente sprovveduti (in questo senso è significativo il riferimento a Egitto e Marocco, perché dimostra che il terrorismo si fonda sulla totale ignoranza dei dati economici, in questo caso le dimensioni comparate delle varie economie; ci ritorneremo).

Non si tratta dunque di normale dialettica politica. È in atto una guerra di classe (contro di noi!) che si avvale di tutti gli strumenti più abietti e distorsivi dell'arsenale della propaganda. Non dobbiamo farci spaventare, e non dobbiamo rinunciare a combattere
. (C.M.)

mercoledì 26 giugno 2013

28 tesi

Le recenti disavventure del Movimento 5 Stelle indicano con chiarezza, ancora una volta, la questione centrale per il Paese: la creazione di una forza politica alternativa, che sappia efficacemente opporsi alla degradazione nella quale i ceti dirigenti ci trascinano.
In questo documento Bontempelli ed io abbiamo cercato di delineare le idee di fondo di un movimento politico di alternativa. Trattandosi di tesi, l’argomentazione logica ed empirica a loro sostegno è lungi dall’essere completa. Precisazioni ed approfondimenti potranno emergere dalla discussione con le persone interessate. Il documento, che ha già circolato in rete, risale al 2008.
(M.B.)



Per salvare la vita. 28 tesi contro la barbarie.
Marino Badiale, Massimo Bontempelli

1. Il modo di produzione capitalistico ha ormai storicamente svelato la sua natura spaventosamente distruttiva su molteplici piani. Esso ha creato ricchezza economica ad un livello mai raggiunto da alcun sistema precedente. Ma la creazione capitalistica di nuova ricchezza ha dimostrato di essere, allo stesso tempo, creazione di nuove povertà, distruzione della socialità degli esseri umani, della loro sanità psichica, dell’ambiente naturale adatto alla loro vita biologica, delle risorse per il loro futuro. Esso è ormai la maledizione del genere umano, che è condannato, per creare e distribuire ricchezza secondo i rapporti di produzione capitalistici, in maniera sufficiente a mantenere un minimo di equilibrio sociale, a vivere in modo sempre più distruttivo nei confronti della natura e di se stesso.

2. La critica più penetrante fino ad ora compiuta del modo di produzione capitalistico è stata quella di Marx. Egli ha indagato la logica dell’accumulazione capitalistica mostrandone il carattere autoreferenziale e illimitato. Marx ha creduto che la logica autoriproduttiva del capitalismo portasse in sé una contraddizione per la quale il proletariato sarebbe cresciuto al suo interno come classe antagonistica dell’intero sistema, fino a rovesciarlo e ad instaurare la società comunistica dei liberi ed eguali, in cui ciascuno avrebbe prodotto secondo le sue capacità e ricevuto secondo i suoi bisogni. Il comunismo novecentesco ha assunto questa idea come dogma condiviso. Ma la realtà della storia è stata sotto questo aspetto completamente diversa. Del comunismo nel senso marxiano del termine non si è mai vista traccia. Ciò che nel Novecento si è fregiato di questo nome è stato un impasto, in proporzioni diverse nei diversi tempi, luoghi ed individui, di lotte di liberazione e nuove oppressioni, orrori ed eroismi, aperture generose ed ottusità fideistiche.

3. Marx è stato a tal punto convinto che il comunismo sarebbe dialetticamente scaturito dallo sviluppo contraddittorio del capitalismo da definirlo come il movimento reale che abolisce lo stato presente delle cose. La definizione è tanto celebre quanto clamorosamente invalidata dalla storia. La storia ci ha insegnato che il movimento che abolisce lo stato presente delle cose non è il comunismo che supera il capitalismo, ma è bensì il capitalismo stesso che nel suo processo di accumulazione allargata del plusvalore trasforma continuamente le condizioni da cui ogni volta muove. Non è affatto vero, dunque, che il capitalismo sia un sistema socialmente conservativo. Esso conserva ferreamente soltanto la logica della sua autoriproduzione e della conseguente gerarchizzazione classista, ma innova di continuo costumi, tecniche, rapporti sociali e condizioni ambientali.

lunedì 24 giugno 2013

La nuova N.A.T.O. (North Atlantic TRADE Organization)


Claudio Martini

Una riflessione a partire da questa notizia.

Se due o più paesi si accordano per costituire un mercato comune tra di loro, presumibilmente ciò sarà realizzato mediante l'adozione di un pacchetto di regole condivise. Il fine di queste regole dovrebbe essere quello di ridurre al minimo la differenza di regime giuridico tra le transazioni internazionali (tra i paesi aderenti al mercato) e quella intra-nazionali. L'apice della disomogeneità nel trattamento giuridico si raggiunge quando le transazioni intra-nazionali sono qualificate come lecite, mentre quelle internazionali sono senz'altro vietate. Ciò, in ipotesi, configura l'isolazionismo estremo in materia commerciale, la negazione degli scambi con l'Estero, l'autarchia. Viceversa, l'esatta parificazione di trattamento giuridico tra i due tipi di transazione coincide con la massima apertura dell'economia nazionale nei confronti del commercio estero.

Storicamente i periodi di "chiusura" dei mercati internazionali sono avvenuti a seguito dell'implementazione di politiche mercantilistiche aggressive da parte di alcuni attori internazionali. L'esempio più evidente è quanto avvenuto tra le due guerre mondiali, quando si verificò una vera segmentazione dei traffici internazionali: le grandi potenze non commerciavano più tra di loro.
Ciò non desta sorpresa. Una condizione fondamentale per conservare un mercato internazionale "affollato" è la fiducia e il reciproco rispetto. Chi attua politiche aggressive si autoesclude dal consesso dei paesi commercianti, e se tutti diventano aggressivi viene meno lo stesso commercio mondiale. Vediamo più da vicino le conseguenze pratiche di questi concetti.

Il commercio internazionale, in sé, non rappresenta un disvalore: permette anzi una più ottimale allocazione dei fattori produttivi. Un esempio banale: se i paesi del Golfo non potessero esportare il loro petrolio non saprebbero praticamente che farsene, mentre i paesi industrializzati soffrirebbero una penuria di carburanti. Quindi l'apertura dei confini nazionali ai traffici commerciali di per sé non danneggia le economie dei paesi che la vivono, anzi.

venerdì 21 giugno 2013

La sinistra rivelata/3

Seconda parte del capitolo 2 de "La sinistra rivelata"
(M.B.)

Alla parte precedente                                                              Alla parte seguente



Sinistra e sviluppo

Cerchiamo ora di discutere in modo più approfondito le tesi di chi sostiene da sinistra l’opportunità e la necessità di rilanciare lo sviluppo. Per farlo, partiamo da un testo che argomenta questa tesi in un modo serio e approfondito. Si tratta di un recente libro di Andrea Ricci[1], che si impegna ad offrire, come dice il sottotitolo, “Proposte per una politica economica di sinistra”.

mercoledì 19 giugno 2013

Fate la nanna coscine di SEL

Abbiamo già segnalato il fatto che alcune aree della sinistra radicale si stanno svegliando, spostandosi su posizioni anti-euro. Altri invece continuano nei loro sonni beati, cullati dalle nenie soporifere alla cui produzione si dedica gran parte degli intellettuali di sinistra. Un esempio è questo articolo di Sara Farolfi, dedicato all'Altersummit recentemente svoltosi ad Atene: una ninnananna il cui unico scopo è quello di mantenere i militanti nel loro beato stato di torpore.

Vi sono vari punti che meritano di essere sottolineati, nell'articolo di Sara Farolfi. Si può per esempio ammirare la perentoria asserzione che, sul tema dell'euro, non ci siano margini per “dubbi e perplessità”. Nel senso, intende l'autrice, che occorre restarci. Così è stato sentenziato ad Atene. Uno sarebbe curioso di conoscere gli argomenti, così decisivi, grazie ai quali ad Atene si sono fugati dubbi e perplessità sulla permanenza nella moneta unica. Argomenti che evidentemente sono ignoti a premi Nobel come Amartya Sen o Paul Krugman. Ma tali argomenti non ci è dato conoscerli. Con uno stile da comunicato del Comitato Centrale del PCUS, l'autrice ci aggiorna sulla linea ufficiale, e tant'è. Verrebbe da ribattere, parafrasando il noto detto latino, “qui è Atene, qui salta”.

L'unico passaggio che somigli ad una argomentazione razionale è il seguente: “l'ipotesi di una uscita dall'Ue non garantirebbe nessun cambiamento delle politiche neoliberiste e di austerità”. Se gli argomenti svolti ad Atene sono tutti di questo tipo, il minimo che si possa dire è che il radicalismo di sinistra che là si è riunito ha qualche problema con la logica di base. Infatti, come abbiamo più volte ripetuto (per esempio nel nostro libro), assieme agli altri critici anti-euro, il punto decisivo è che all'interno di quella gabbia che è l'euro non è possibile contrastare le politiche di austerità. Il fronte anti-euro sostiene cioè che l'uscita dall'euro è condizione necessaria per difendere i ceti popolari dall'attacco in corso. Ribattere che “l'uscita dall'euro non garantisce la fine dell'austerità” significa non capire la differenza fra condizione necessaria e condizione sufficiente. E' vero che l'uscita dall'euro non garantisce la fine dell'austerità, ma è altrettanto vero, ed è questo, ripetiamolo, il punto decisivo, che la permanenza nell'euro garantisce che non si possa uscire dall'austerità, garantisce la fine dello Stato sociale, la distruzione dei diritti dei lavoratori, la messa in mora della democrazia e delle Costituzioni antifasciste.

L'altro ingrediente tipico della ninnananna per militanti è, naturalmente, l'appello a “cambiare le istituzioni per cambiare l'Europa”. Lo abbiamo detto molte volte, ma ripetiamoci: il cambiamento delle istituzioni europee può solo essere l'azione di un soggetto sociale europeo. Ma non esiste un soggetto popolare europeo, perché i ceti subalterni europei sono divisi. Una unità popolare a livello europeo può ovviamente essere un obbiettivo auspicabile per il futuro, ma è un obbiettivo che non sappiamo se e quando sarà realizzabile. Affidarsi a un soggetto che adesso non esiste, e del quale non sappiamo se e quando esisterà in futuro, per difendersi da un attacco che è in corso adesso, è semplicemente un suicidio.

Sono questi gli elementi che rendono chiaro come le posizioni politiche contenute nell'articolo che abbiamo esaminato siano falsa coscienza allo stato puro.
(M.B.)

martedì 18 giugno 2013

Ormai lo dicono tutti, ma proprio tutti

E' bello vedere la BCE che ti dà ragione. A giugno 2013 il vertice del sistema monetario europeo è giunto alla conclusione che il problema non è la crescita del debito pubblico, ma la crescita del debito privato.Wow. (C.M.)

lunedì 17 giugno 2013

L'idea dell'Italia che hanno gli italiani, e l'idea che ne hanno gli altri

Mi sono andato a vedere, per curiosità, comeWikipedia English descrive il nostro paese. Mi ha colpito, e l'ho tradotta. Guardate quanto è distante dall'idea che dell'Italia hanno gli italiani!

L'Italia:


È stata classificata come la 25esima nazione più sviluppata al mondo, e nel 2005 il suo indice di qualità delle vita era tra i primi dieci del mondo. Gli italiano godono di standard di vita molto avanzati, in parte grazie ad un alto reddito procapite, e hanno a disposizione un sistema educativo di alto livello. L'Italia è considerata uno dei paesi maggiormente globalizzati; essa è un membro fondatore dell'Unione europea, e fa parte del G8, del G8, del G20, della NATO e dell'ONU. Dispone della terza riserva aurea del mondo, del nono pil in termini nominali, del decimo in termini reali, e il suo bilancio pubblico è il sesto più grande del mondo. Fa parte dell'OCSE, del WTO, e del Consiglio d'Europa.
L'Italia occupa l'undicesimo posto al mondo per spese militari, e partecipa al programma NATO di condivisione degli arsenali nucleari. L'Italia, tenendo conto della sua influenza politica, sociale, economica e militare in Europa, è considerata una potenza regionale, e una delle principali medie potenze.

Naturalmente non bisogna per questo cominciare a suonare la fanfara nazionalistica: oltre che estraneo alla nostra cultura, sarebbe semplicemente un errore. Noi non andiamo certo fieri del fatto che il nostro paese faccia parte della NATO, per dire.  Una cosa però è chiara: gli italiani non si rendono del tutto conto di dove vivono. Sono abituati a pensare di vivere in una provincia povera e derelitta della comunità internazionale, e non pensano di essere i cittadini di una delle principali (nonostante tutto!) potenze economiche del mondo. Da questo equivoco nascono tutti i sentimenti pro-euro diffusi nella popolazione: se siamo piccoli e poveri, come potremo sopravvivere con le nostre sole forze? Una volta ho sentito con le mie orecchie dire che, tornando alla lira, saremmo diventati un paese a livello della Thailandia. Poveri stupidi.
Ironia della Storia, da quando questa passione triste ha conquistato le menti degli italiani noi non facciamo altro che perdere posizioni. Ancora qualche anno di euro e Unione Europea e anche noi otterremo lo status di "Paese Emergente" conquistato dalla Grecia. Self-fulfilling prophecy. (C.M)

sabato 15 giugno 2013

La sinistra rivelata/2

Continuo la pubblicazione di alcuni brani tratti da "La sinistra rivelata". Pubblicherò in varie puntate il capitolo 2 del libro, dedicato a sviluppo, decrescita e sinistra. Lo sviluppo è indicato, nel libro, come uno dei postulati del "capitalismo assoluto", che non può essere messo in discussione dalla sinistra che vuole accedere al potere. Ricordo che il libro è stato scritto prima del 2007.
(M.B.)


Alla parte seguente


Lo sviluppo, un dogma in crisi

L'ultimo dei postulati del capitalismo assoluto che vogliamo discutere è quello relativo allo sviluppo, inteso come crescita indefinita del Prodotto Interno Lordo. Il postulato può essere formulato nel modo seguente.
(...)Il fine della politica è favorire lo sviluppo. Tutti i problemi sociali devono essere affrontati attraverso lo sviluppo e solo i problemi ai quali lo sviluppo può dare una risposta possono essere affrontati.
Discutiamo tale postulato in un capitolo a parte perché ha bisogno di una trattazione più approfondita, e questo per tre motivi. In primo luogo esso ha carattere più fondamentale rispetto a quelli precedentemente discussi, rappresenta cioè il vero principio irrinunciabile del capitalismo assoluto. In secondo luogo lo sviluppo appare oggi come una realtà in crisi, almeno in regioni significative del pianeta, fra le quali l’Europa, e l’Italia in particolare. Questo implica che uno dei cavalli di battaglia di tutte le forze politiche nei nostri paesi è il rilancio dello sviluppo, e occorre quindi discutere cosa significa e cosa comporta tale rilancio. In terzo luogo il dogma che lo sviluppo sia sempre e comunque un fatto positivo è estremamente diffuso, per cui di fronte a tale dogma occorre un ragionamento più lungo per spiegarne la nocività. Non basta, cioè, mostrare come esso sia condiviso da destra e sinistra, anzi questa è la parte più facile dell’argomentazione. A differenza dei postulati precedenti, che portano all’attacco ai diritti del lavoro o al servilismo verso le guerre USA, nel caso del dogma dello sviluppo la sinistra non fa nemmeno finta di differenziarsi dalla destra. Ciascuno dei due schieramenti vuole presentarsi come quello che aiuta lo sviluppo e rimprovera all’altro schieramento di non fare abbastanza per lo sviluppo.

venerdì 14 giugno 2013

Cosa hanno in mente di fare?

Ma li avete visti i saggi scelti da Napolitano per stravolgere la costituzione? Ci sono Violante e Frattini, D'Onofrio (quel D'Onofrio) spacciato per costituzionalista, il nostro amato Angelo Panebianco, la quota Corriere (Michele Ainis) e la quota Repubblica (Nadia Urbinati), gli immarcescibili Onida, Pitruzzella e Barbera, e... Guido TabelliniUna vecchia conoscenza. Ma Guido Tabellini nemmeno per sbaglio può essere considerato un giurista. E chissà se è l'unico economista fra i 35 (due terzi dei nomi non mi dicono nulla. A voi?). Il che mi fa pensare che non vogliano colpire solo la forma di governo, ma anche la parte relativa ai rapporti economici. Prepariamoci a lottare. (C.M)

giovedì 13 giugno 2013

JP Morgan lo dice a chiare lettere: il problema dell'euro sono le costituzioni antifasciste


Ho trovato su questo blog una notizia molto interessante: JP Morgan ha emesso un documento, nel quale viene presentata un'analisi del processo di aggiustamento degli squilibri macro-economici dei paesi del sud. Ma il documento non si limita a parlare di inflazione o di partite correnti. Entra nel merito dei "difetti" dei paesi del sud. A proposito dei limiti tipici di questi paesi, si dice:
 Quando la crisi è iniziata era diffusa l'idea che questi limiti intrinseci avessero natura prettamente economica: debito pubblico troppo alto, problemi legati ai mutui e alle banche, tassi di cambio reali non convergenti, e varie rigidità strutturali. Ma col tempo è divenuto chiaro che esistono anche limiti di natura politica. I sistemi politici dei paesi del sud, e in particolare le loro costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell'area europea. Quando i politici tedeschi parlano di processi di riforma decennali, probabilmente hanno in mente sia riforme di tipo economico sia di tipo politico.
 è singolare che si tracci questo parallelo tra ciò che è scaturito dalla lotta antifascista e ciò che non ci permette di integrarci adeguatamente nel sistema dell'euro. Il problema è chiaramente individuato nelle costituzioni. Per fortuna i politici tedeschi lo sanno. Ma andiamo avanti.

martedì 11 giugno 2013

Buongiorno!

Sembra che finalmente, sulla questione dell'euro, i nostri marxcomunisti si stiano svegliando. Buon giorno, dovreste essere ben riposati, visto quanto avete dormito....
Scherzi a parte, ci fa ovviamente piacere che sempre nuove forze si aggiungano al fronte dei critici dell'euro. L'articolo di Spartaco Puttini che segnaliamo nel link è ampiamente condivisibile, e sostiene con estrema chiarezza una serie di tesi che sono anche le nostre e che, fino a poco tempo fa, non era facile sentire negli ambienti marxcomunisti. Non possiamo che esserne contenti. Abbiamo iniziato il nostro lavoro di eurocritici, anche aprendo questo blog, proprio perché eravamo convinti che il carattere devastante di euro/UE sarebbe divenuto sempre più chiaro col passare del tempo, e avrebbe spostato sempre più persone nel campo degli oppositori.
(M.B.)

lunedì 10 giugno 2013

Cose turche

Questo interessante articolo fa luce su un fatto non molto conosciuto dal grande pubblico, e cioè che la crescita turca ha molto probabilmente i piedi di argilla, e che questo potrebbe non essere del tutto estraneo a quanto sta avvenendo in questi giorni nelle strade di quel paese.
Come argutamente sostiene l'articolista, in Turchia si è creata un'impressionante bolla immobiliare, che include anche il complesso che dovrebbe prendere il posto del parco di Gezi. Ma noi sappiamo che le bolle immobiliari sono un ottimo indizio dell'afflusso di capitali dall'estero; e che i capitali affluiscono nei paesi che ne hanno bisogno, cioè nei paesi che hanno una bilancia dei pagamenti in disavanzo.
E infatti...


Andamento delle partite correnti turche:




Per superare la cronica crisi della lira turca, Erdogan ha adottato il cambio fisso col dollaro. Questo ha aumentato il potere d'acquisto dei turchi, e ha di fatto sostenuto la crescita, ma al prezzo di accumulare un debito estero di proporzioni inquietanti.

 La rivalutazione della lira turca:







Il debito estero turco:




Prima o poi i capitali smetteranno di affluire (forse lo faranno già partire dai prossimi giorni, sulla scorta delle proteste), e allora per l'economia turca si troverà di fronte al dilemma cruciale: svalutare la moneta o deflazionare?

Questa sommaria analisi non deve però farci dimenticare due cose:

1) la Turchia sta uscendo, e in parte è già uscita, da una situazione di grave sottosviluppo; e da quello stato l'ha tirata fuori l'AKP, il partito di Erdogan.

2) la Turchia comunque una scelta ce l'ha, perché il suo tasso di cambio non è irrimediabilmente fisso come quello dei membri dell'eurozona. E qui è istruttivo confrontare la Turchia con la Grecia: il debito estero turco è arrivato ad un livello persino più alto, eppure non ha attraversato una crisi economica e finanziaria paragonabile a quella greca.

Chissà perché? (C.M)

domenica 9 giugno 2013

Il ricatto di Silvio

Avrete sicuramente sentito dell'ultimo Berlusconi anti-euro. E' una costante: quando il personaggio è sotto pressione (anche e sopratutto giudiziaria) tira immediatamente fuori certi argomenti. Evidentemente sa di poterli usare in funzione ricattatoria, una cosa del tipo: se non mi salvate dalla Boccassini io faccio crollare l'euro. Infatti non sarebbe così difficile per Berlusconi sfiduciare Letta, costringere il sistema politico alle elezioni, imbastire una campagna anti-euro e anti-austerity e... tornare al governo. Berlusconi è probabilmente l'unico uomo che può decidere di distruggere l'euro. I suoi avversari (meglio: i suoi ex avversari) lo sanno, e se la situazione precipita dal punto di vista giudiziario si inventeranno un qualche salva-condotto. Speriamo che qualcuno li fermi. (C.M.)

venerdì 7 giugno 2013

Assemblea Nazionale dell'ARS


Segnaliamo che il prossimo 15 e 16 Giugno si terrà a Pescara l'Assemblea Nazionale dell'ARS (Associazione Riconquistare la Sovranità).
Un evento importante, come importante è sostenere tutte le iniziative di cittadini attivi in difesa della sovranità popolare.
Info e logistica qui

giovedì 6 giugno 2013

Diversamente compagni

Si sa che tutti i comunisti sono compagni. Per fortuna, però, non sono tutti uguali. In Grecia, Portogallo, Spagna, i partiti comunisti stanno discutendo seriamente dell'uscita dall'euro. Trovate una sintesi di questi dibattiti qui (una discussione fra i partiti greco, cipriota, spagnolo e portoghese) e qui (discussioni interne al partito portoghese). Possiamo osservare come molte delle tesi sostenute in queste discussioni siano le stesse che andiamo discutendo in questo blog, e che abbiamo esposto nel nostro libro (e che sostengono tanti altri, da Bagnai all'ARS). Voglio suggerire, con questa osservazione, come fosse perfettamente ragionevole che tali posizioni venissero almeno prese in considerazione e seriamente discusse dai comunisti nel nostro paese. Così non è stato, e davvero non ci possiamo fare nulla. Ci permettiamo però di instillare nei nostri lettori un ragionevole dubbio. I partiti comunisti che abbiamo citato sono partiti certo piccoli, ma non del tutto insignificanti come quelli di Diliberto e Ferrero. In Italia sono sempre stati descritti come partiti chiusi e dogmatici. Il risultato però è che loro mantengono una qualche presenza nei loro paesi, mentre i Ferrero e i Diliberto sono stati spazzati via. Il ragionevole dubbio è allora questo: forse i comunisti nel nostro paese potrebbero esaminare le posizioni di quei partiti e cercare, in mezzo a tutto il dogmatismo che indubbiamente c'è e indubbiamente è da rifiutare, anche quelle piccole verità che sarebbero utili a ricostruire una presenza anticapitalistica in Italia. La critica di euro e UE è senz'altro una di queste piccole verità. Ma temo che questi siano discorsi inutili. In Italia, Diliberto e amici le loro scelte le hanno già fatte e non le cambieranno. Sono comunisti, ma diversi. Diversamente compagni.

(M.B.)

mercoledì 5 giugno 2013

La passion predominante

A volte una semplice osservazione laterale è indicativa di quale sia la “passion predominante” di una persona. In una intervista a cura di Fausta Chiesa, nel supplemento di economia del Corriere della Sera di lunedì 27 maggio, Tito Boeri parla della crisi dell'euro sostenendo in sostanza la tesi del “più Europa”. Boeri, che è persona intelligente, si rende conto delle difficoltà di questo passaggio, e osserva fra l'altro

Il governo economico europeo ipotizzato dal presidente francese François Hollande dovrebbe gestire vari interventi di politica economica e mi chiedo come reagirebbe per esempio Parigi se imponessero alla Francia di allungare l'età pensionabile o di rendere più flessibile l'orario di lavoro

Casualmente, l'esempio che fa Boeri delle difficoltà di una politica economica coordinata a livello europeo si riferisce ad eventuali misure di austerità da imporre alla Francia. Boeri non si pone il problema che un governo economico europeo, invece di chiedere misure di austerità alla Francia, potrebbe chiedere misure espansive alla Germania, in maniera da far aumentare la domanda interna tedesca, così da incrementare le importazioni tedesche e contribuire a risolvere il problema degli squilibri commernciali dell'eurozona.

Vi sono due osservazioni possibili, a questo proposito: in primo luogo, è probabile che Boeri non pensi nemmeno alla possibilità di imporre misure espansive alla Germania perchè sa benissimo che la Germania non le accetterebbe e nessun governo europeo può imporle nulla. Il che significa che il famoso governo economico europeo sarebbe solo uno strumento della Germania per ulteriori pressioni sui paesi della periferia sud, e forse, appunto, anche sulla Francia. In secondo luogo, le parole di Boeri (per quello che indicano al di là delle intenzioni e delle opinioni dello stesso Boeri) ci dicono con chiarezza cosa dobbiamo aspettarci dal “più Europa”, se questo dovesse realizzarsi: più austerità, più povertà, più distruzione dell'economia, più asservimento del paese a interessi stranieri. E' questa oggi la “passion predominante” delle oligarchie europee.

(M.B.)






martedì 4 giugno 2013

Tanto per essere chiari

Si parla molto in questi giorni di "presidenzialismo". Giovanni Belardelli, sul Corriere della Sera di ieri, ci spiega perché:

un accentramento del potere nelle mani di un presidente eletto direttamente rappresenta ormai «l'unica via di salvezza» per un Paese che ha bisogno di prendere quelle decisioni spesso impopolari che i governi basati su coalizioni instabili non sono in grado di assumere.

Non c'è molto da aggiungere. C'è solo bisogno, forse,  di un breve manuale di traduzione dal belardellese all'italiano.

1) Decisioni spesso impopolari = decisioni alle quali la maggioranza degli elettori è contraria.

2) Governi basati su coalizioni instabili = governi obbligati dalle oligarchie a prendere le decisioni di cui al punto 1).

3) Accentramento di potere nelle mani di un presidente eletto direttamente= sottrazione di potere al Parlamento per darlo a un Presidente che non dirà mai chiaramente, in campagna elettorale, quali decisioni del tipo 1) prenderà, e che una volta eletto sarà lo strumento delle oligarchie di cui al punto 2).

(M.B.)

lunedì 3 giugno 2013

Una proposta pratica per andare oltre l'euro


 di Claudio Martini

Questo è un breve saggio di due deputati al Bundestag tedesco, una del gruppo dei Verdi e uno del gruppo della Linke. È vecchio di più di due anni: questo blog non esisteva ancora, e nemmeno quello di Alberto Bagnai. Non sembra che abbia riscosso grandi risultati, e nemmeno grande attenzione. Tuttavia lo ritengo un'utilissima base di discussione di quello che potrebbe essere una seria proposta politica, ed è per questo che l'ho tradotto e ve lo presento (qui la versione originale)

Il maggior pregio del saggio è che presenta un'alternativa sia al mantenimento del disastroso status quo sia al semplice ritorno alla situazione pre-euro. È infatti evidente che il progetto tedesco di dominio economico dell'Europa costituisce una seria minaccia ai nostri diritti e al nostro benessere, con risvolti che potrebbero essere ancora più catastrofici: una delle suggestioni più interessanti del saggio è quella secondo la quale un'Europa tedesca, e cioè un'Europa che accumula stabilmente surplus commerciali con il resto del mondo, non fa altro che scaricare i suoi problemi sui Paesi extra-europei; con in più la considerazione che questo atteggiamento mercantilista, applicato su tutta Europa, innesca inevitabilmente ritorsioni a livello internazionale, ponendo le basi di una nuova, pericolosa guerra commerciale a livello globale.

Ma è altrettanto evidente (almeno per chi scrive) che la proposta del ritorno alle valute nazionali è ormai patrimonio esclusivo delle forze nazionaliste europee, da Farage a Le Pen. Ciò non significa che la proposta sia un errore in sé, ma che bisogna ammettere che i tentativi di farne un programma per le forze democratiche dei Paesi europei è ormai del tutto fallito. E così l'Unione Europea, che doveva aprire la strada ad un nuovo nazionalismo pan-europeo, è divenuta l'incubatrice per la rinascita dei vecchi nazionalismi “nazionali”: saranno questi ultimi, quando e se cadrà l'euro, a gestire il processo di ritorno alle valute nazionali. Con tutte le inquietanti conseguenze del caso.

L'idea fondamentale del saggio è che non si debba passare da una competizione a cambi fissi (cioè al sistema dell'euro) ad una competizione a cambi flessibili (cioè al semplice ritorno alle valute nazionali), ma approdare finalmente ad un ordinamento cooperativo e non competitivo in Europa. Per far questo gli autori si richiamano a quello che è stato l'esito geniale della speculazione intellettuale di John Maynard Keynes, ovvero alla proposta di istituire una International Clearing Union (ICU), una camera di compensazione degli squilibri delle partite correnti dei singoli Paesi. Come è noto l'impianto complessivo della proposta di Keynes di un ordine economico del mondo uscito dalla Seconda Guerra è stato accettato solo in parte a Bretton Woods, ed è poi stato smantellato progressivamente negli anni. Ora ci troviamo sotto il regime del dollaro, ed è questa la principale ragione alla base delle crisi finanziarie che funestano l'economia mondiale (l'ultima nel 2008; la prossima tra pochi anni). Perciò l'idea dell'ICU rappresenta ancora oggi la vera alternativa ad un sistema monetario basato sul predominio di una singola potenza, e perciò stesso intrinsecamente instabile e pernicioso.

Calandoci nel contesto europeo, noi troviamo che se alla base del progetto dell'UE c'è l'idea che la competizione mercantilistica vada promossa, ma vada anche regolata in modo che non degeneri in conflitti armati (come era avvenuto negli anni precedenti alla Prima Guerra Mondiale), caposaldo della proposta keynesiana è che le nazioni devono essere libere di perseguire la politica economica che vogliono all'interno dei propri confini, ma che questo è possibile solo in un quadro di cooperazione e di regole condivise. Le nazioni perciò conservano le leve della politica fiscale e della politica monetaria, e possono utilizzarle per raggiungere la piena occupazione e lo sviluppo della società; ma se qualche Paese tenta di aggredire gli altri dal punto di vista commerciale scatta un meccanismo riequilibratore il quale, mediante sanzioni* di varia natura, riporta la situazione alla normalità. Per fare ciò la possibilità delle monete di apprezzarsi/deprezzarsi nei mercati internazionali è ridotta (ma non eliminata), ma in compenso è fortemente limitata la capacità da parte dei capitali di muoversi da un Paese all'altro, costringendo tutti ad una “asta al ribasso” per attirarli.

Il sistema di Keynes, eliminando la competizione, apre per tutti i paesi la Via per la Prosperità (non a caso è questo il titolo di un'opera dell'economista britannico). L'ottima intuizione dei due deputati tedeschi consiste nel sostituire l'euro con un sistema che, nella sostanza, ricalca l'ICU: da qui il nome European Clearing Union scelto per la loro proposta.

In realtà, gli autori del saggio non invocano il ritorno alle valute nazionali, pur ancorate ad una valuta sovra-nazionale (un Bancor europeo), e nemmeno intendono incidere sugli attuali Trattati UE: tutte cose, a parere di chi scrive, assolutamente indispensabili. Ma il valore dell'intuizione rimane. Vorrei dunque che si sviluppasse un dibattito che prendesse spunto da queste suggestioni, vuoi aderendo interamente alla proposta dei due autori vuoi propendendo per l'applicazione, sic et simpliciter, dello schema keyenesiano all'attuale eurozona. Quest'ultima idea avrebbe il vantaggio di sgombrare il campo dalla preoccupazioni, instillate ad arte fra i cittadini dai maestri della persuasione occulta, legate alla dissoluzione dell'euro, e rappresenterebbe una proposta costruttiva e “positiva” invece che semplicemente “negativa”, come putroppo appare l'idea di uscire dall'euro. Inoltre sul piano pratico questa proposta garantirebbe un ordinamento macro-economico idoneo, forse più che il semplice ritorno ai cambi flessibili, a favorire l'adozione di misure per l'espansione dei redditi e delle opportunità dei ceti subalterni, e persino di misure “decresciste”; infine rappresenterebbe, se implementato, un paradigma per il mondo intero. Un ECU al posto dell'euro spianerebbe la strada ad un ICU al posto del dollaro.

Naturalmente può darsi che questa via sia impercorribile per insuperabili ragioni tecniche; per questo sarebbero particolarmente gradite le recezioni critiche da parte dei nostri amici economisti. Con l'accorgimento che le obiezioni tecniche non devono esaurire il dibattito sulla sostanza e sul senso dell'intera operazione, che dovrebbe meritare una discussione a parte.


Vi auguro quindi buona e proficua lettura, con due avvertenze:

  • il “succo” della trattazione è concentrato nella parte prima, nell'inizio della seconda e nella terza, anche se ciò non vuol dire che leggere le altre parti sia una perdita di tempo;
  • ho operato vari tagli nella parte quarta, perché riguardavano solamente la Germania e non aggiungevano granché al merito della proposta.




*intendiamoci sul significato di “sanzioni”: per Keynes chi adotta un atteggiamento aggressivo e non cooperativo, come la Germania di oggi, deve essere in primo luogo “condannato” a diminuire la propria disoccupazione, ad aumentare la spesa pubblica, a incrementare i salari; chi direbbe che queste sono “sanzioni”?

sabato 1 giugno 2013

Un accordo storico? Una storica disgrazia


Si parla di accordo storico. La Confindustria e la Triplice sindacale hanno operato una sensibile riforma del diritto del lavoro in Italia, in attesa che i partiti che di queste forze sono la rappresentazione politica (Pd e PdL) operino una sensibile riforma della Costituzione. In un caso come nell'altro si sono fatte le larghe intese. L'accordo appare davvero come il sigillo di un'allenza sindacati maggiori-industriali che ha come obiettivo eliminare la possibilità che i lavoratori si organizzino autonomamente contro le misure per rendere "competitiva" l'impresa italiana. In quanto tale è segno di un nuovo "autoritarismo sindacale" dei confederali contro chiunque esprima dissenso (e ne avevamo già avuto inquietanti avvisaglie).
In particolare, i sindacati minori e più radicali vengono di fatto taglliati fuori. E tutto questo, purtroppo, con il pieno assenso della FIOM.
A livello delle parti sociali dunque l'impianto dell'euro ha già vinto. Il valore fondamentale è la concorrenza: tra i lavoratori tra loro, tra le imprese, tra gli Stati.
Chiunque abbia intenzione di provare a ricostruire quanto è andato distrutto in questi anni deve sapere che troverà, come primi avversari, i sindacati maggiori. (C.M.)