di Claudio Martini
Questo è un breve saggio di due
deputati al Bundestag tedesco, una del gruppo dei Verdi e uno del
gruppo della Linke. È vecchio di più di due anni: questo blog non
esisteva ancora, e nemmeno quello di Alberto Bagnai. Non sembra che
abbia riscosso grandi risultati, e nemmeno grande attenzione.
Tuttavia lo ritengo un'utilissima base di discussione di quello che
potrebbe essere una seria proposta politica, ed è per questo che
l'ho tradotto e ve lo presento (qui la versione originale)
Il maggior pregio del saggio è che
presenta un'alternativa sia al mantenimento del disastroso status
quo sia al semplice ritorno alla
situazione pre-euro. È infatti evidente che il progetto tedesco di
dominio economico dell'Europa costituisce una seria minaccia ai
nostri diritti e al nostro benessere, con risvolti che potrebbero
essere ancora più catastrofici: una delle suggestioni più
interessanti del saggio è quella secondo la quale un'Europa tedesca,
e cioè un'Europa che accumula stabilmente surplus commerciali con il
resto del mondo, non fa altro che scaricare i suoi problemi sui Paesi
extra-europei; con in più la considerazione che questo atteggiamento
mercantilista, applicato su tutta Europa, innesca inevitabilmente
ritorsioni a livello internazionale, ponendo le basi di una nuova,
pericolosa guerra commerciale a livello globale.
Ma è altrettanto
evidente (almeno per chi scrive) che la proposta del ritorno alle
valute nazionali è ormai patrimonio esclusivo delle forze
nazionaliste europee, da Farage a Le Pen. Ciò non significa che la
proposta sia un errore in sé, ma che bisogna ammettere che i
tentativi di farne un programma per le forze democratiche dei Paesi
europei è ormai del tutto fallito. E così l'Unione Europea, che
doveva aprire la strada ad un nuovo nazionalismo pan-europeo, è
divenuta l'incubatrice per la rinascita dei vecchi nazionalismi
“nazionali”: saranno questi ultimi, quando e se cadrà l'euro, a
gestire il processo di ritorno alle valute nazionali. Con tutte le
inquietanti conseguenze del caso.
L'idea
fondamentale del saggio è che non si debba passare da una
competizione a cambi fissi (cioè al sistema dell'euro) ad una
competizione a cambi flessibili (cioè al semplice ritorno alle
valute nazionali), ma approdare finalmente ad un ordinamento
cooperativo e non competitivo in Europa. Per far questo gli autori si
richiamano a quello che è stato l'esito geniale della speculazione
intellettuale di John Maynard Keynes, ovvero alla proposta di
istituire una International Clearing Union (ICU),
una camera di compensazione degli squilibri delle partite correnti
dei singoli Paesi. Come è noto l'impianto complessivo della proposta
di Keynes di un ordine economico del mondo uscito dalla Seconda
Guerra è stato accettato solo in parte a Bretton Woods, ed è poi
stato smantellato progressivamente negli anni. Ora ci troviamo sotto
il regime del dollaro, ed è questa la principale ragione alla base
delle crisi finanziarie che funestano l'economia mondiale (l'ultima
nel 2008; la prossima tra pochi anni). Perciò l'idea dell'ICU
rappresenta ancora oggi la vera alternativa ad un sistema monetario
basato sul predominio di una singola potenza, e perciò stesso
intrinsecamente instabile e pernicioso.
Calandoci nel
contesto europeo, noi troviamo che se alla base del progetto dell'UE
c'è l'idea che la competizione mercantilistica vada promossa, ma
vada anche regolata in modo che non degeneri in conflitti armati
(come era avvenuto negli anni precedenti alla Prima Guerra Mondiale),
caposaldo della proposta keynesiana è che le nazioni devono essere
libere di perseguire la politica economica che vogliono all'interno
dei propri confini, ma che questo è possibile solo in un quadro di
cooperazione e di regole condivise. Le nazioni perciò conservano le
leve della politica fiscale e della politica monetaria, e possono
utilizzarle per raggiungere la piena occupazione e lo sviluppo della
società; ma se qualche Paese tenta di aggredire gli altri dal punto
di vista commerciale scatta un meccanismo riequilibratore il quale,
mediante sanzioni* di varia natura, riporta la situazione alla
normalità. Per fare ciò la possibilità delle monete di
apprezzarsi/deprezzarsi nei mercati internazionali è ridotta (ma non
eliminata), ma in compenso è fortemente limitata la capacità da
parte dei capitali di muoversi da un Paese all'altro, costringendo
tutti ad una “asta al ribasso” per attirarli.
Il
sistema di Keynes, eliminando la competizione, apre per tutti i paesi
la Via per la Prosperità (non a caso è questo il titolo di un'opera
dell'economista britannico). L'ottima intuizione dei due deputati
tedeschi consiste nel sostituire l'euro con un sistema che, nella
sostanza, ricalca l'ICU: da qui il nome European Clearing
Union scelto per la loro
proposta.
In
realtà, gli autori del saggio non invocano il ritorno alle valute
nazionali, pur ancorate ad una valuta sovra-nazionale (un Bancor
europeo), e nemmeno intendono incidere sugli attuali Trattati UE:
tutte cose, a parere di chi scrive, assolutamente indispensabili. Ma
il valore dell'intuizione rimane. Vorrei dunque che si sviluppasse un
dibattito che prendesse spunto da queste suggestioni, vuoi aderendo
interamente alla proposta dei due autori vuoi propendendo per
l'applicazione, sic et simpliciter,
dello schema keyenesiano all'attuale eurozona. Quest'ultima idea
avrebbe il vantaggio di sgombrare il campo dalla preoccupazioni,
instillate ad arte fra i cittadini dai maestri della persuasione
occulta, legate alla dissoluzione dell'euro, e rappresenterebbe una
proposta costruttiva e “positiva” invece che semplicemente
“negativa”, come putroppo appare l'idea di uscire dall'euro.
Inoltre sul piano pratico questa proposta garantirebbe un ordinamento
macro-economico idoneo, forse più che il semplice ritorno ai cambi
flessibili, a favorire l'adozione di misure per l'espansione dei
redditi e delle opportunità dei ceti subalterni, e persino di misure
“decresciste”; infine rappresenterebbe, se implementato, un
paradigma per il mondo intero. Un ECU al posto dell'euro spianerebbe
la strada ad un ICU al posto del dollaro.
Naturalmente può
darsi che questa via sia impercorribile per insuperabili ragioni
tecniche; per questo sarebbero particolarmente gradite le recezioni
critiche da parte dei nostri amici economisti. Con l'accorgimento che
le obiezioni tecniche non devono esaurire il dibattito sulla sostanza
e sul senso dell'intera operazione, che dovrebbe meritare una
discussione a parte.
Vi auguro quindi
buona e proficua lettura, con due avvertenze:
- il “succo” della trattazione è concentrato nella parte prima, nell'inizio della seconda e nella terza, anche se ciò non vuol dire che leggere le altre parti sia una perdita di tempo;
- ho operato vari tagli nella parte quarta, perché riguardavano solamente la Germania e non aggiungevano granché al merito della proposta.
*intendiamoci
sul significato di “sanzioni”: per Keynes chi adotta un
atteggiamento aggressivo e non cooperativo, come la Germania di oggi,
deve essere in primo luogo “condannato” a diminuire la propria
disoccupazione, ad aumentare la spesa pubblica, a incrementare i
salari; chi direbbe che queste sono “sanzioni”?
LISA PAUS
Dr. AXEL TROOST
March 2011
A European Clearing Union – The Monetary Union 2.0
- Introduzione
Negli ultimi mesi l'Unione Monetaria Europea (UME) è stata messa in
discussione come mai prima d'ora. L'Euro attraversa il suo momento
critico. Ciò è dimostrato dal fatto che i media e le personalità
politiche non si limitano più a ribadire che la fine dell'UME
porterebbe a conseguenze catastrofiche e incalcolabili, ma anzi
hanno cominciato a discutere il merito di quelle conseguenze. Si
parla di recessi di singoli paesi dall'Euro, così come di un Euro
del Sud e uno del Nord, per non parlare dell'eventualità di un
ritorno al Marco della Germania.
Fino a questo momento il Governo tedesco è andato ripetendo che la
soluzione alla crisi dell'Euro è da ritrovarsi nel rigore fiscale
dei paesi maggiormente in crisi, come la Grecia o la Spagna o
l'Irlanda. Ma sono sempre più numerosi i Paesi europei che chiedono,
con ragione, altri interventi che mettano in sicurezza il sistema
dell'Euro. Si comincia a parlare di squilibri macroeconomici.
Questi squilibri rappresentano il difetto strutturale fondamentale
dell'UME. Dobbiamo approfittare della crisi attuale per riformare
l'UME, e per porre le basi di una nuova politica economica in senso
alla Unione Europea. Senza cambiamenti strutturali non saremo in
grado di conservare il sistema dell'Euro in una maniera compatibile
con la coesione e il benessere dei Paesi europei.
Storicamente l'UME è un progetto che non è stato fedele alla
teoria delle Aree Valutarie Ottimali1.
È piuttosto un progetto politico teso all'integrazione europea, un
fine in sé desiderabile. Ma un progetto politico di questo tipo non
può essere implementato ignorando le leggi dell'economia. I
meccanismo del mercato, lasciati a loro stessi, spingono i Paesi
deboli ai margini dell'unione monetaria. Se davvero vogliamo l'Euro,
dobbiamo intraprendere un'azione politica che leghi tra loro le
economie europee, facendo in modo che nessuna di esse si trovi a
disagio nell'unione monetaria.
- Le regole di un'unione
Un'unione monetaria impone ai diversi Paesi che ne fanno parte di
seguire una politica monetaria comune. La moneta unica beneficia le
economie nazionali rimuovendo i rischi legati alla fluttuazioni dei
cambi, e facendo risparmiare loro i costi relativi alle transazioni.
Tuttavia gli Stati membri rinunciano così allo strumento del
tasso di cambio, strumento che consente loro di far fronte ai ritardi
in tema di competitività economica.
Una perdita di competitività per esempio potrebbe essere determinata
da una crescita dei prezzi interni maggiore di quella che si verifica
negli altri Paesi. In questo caso quando la moneta nazionale si
svaluta i prezzi delle merci prodotte nel Paese non aumentano, e
rimangono appetibili per i consumatori stranieri come per quelli
residenti. Entrare in una unione monetaria comporta la rinuncia a
questo strumento. In teoria dunque le economie nazionali dovrebbero
soddisfare certi requisiti prima di entrare. Da un lato ciò implica
che i Paesi membri dovranno reagire in maniera uniforme ai mutamenti
economici. Ad esempio, a uguali miglioramenti di produttività nei
vari Paesi dovrebbero seguire, in tutti i Paesi, uguali aumenti dei
salari. Né va sottovalutato che una svalutazione della moneta
unica porta ad un aumento delle esportazioni e a una diminuzione
delle importazioni contemporaneamente in tutti i Paesi membri2.
Dall'altro lato questi comportamenti “simmetrici” devono essere
accompagnati da reazioni asimmetriche qualora i mutamenti economici
coinvolgano in misura diversa i vari Paesi: pensiamo alla crisi di
uno specifico settore produttivo che ha però un peso rilevante
nell'economia di un unico Paese membro. Chi propugna la teoria delle
AVO sostiene che per far fronte adeguatamente agli “shock
asimmetrici” tutte i Paesi che fanno parte di una unione monetaria
devono disporre di un elevato grado di flessibilità e mobilità dei
fattori produttivi (come la forza lavoro) e dei prezzi (inclusi i
salari).
Quando l'UME fu creata queste condizioni esistevano solo in misura
molto limitata tra i Paesi europei. In particolare la mobilità tra
Stati della forza-lavoro è limitata dalle barriere linguistiche, e
non può comunque superare certi limiti. Inoltre tale mobilità
dovrebbe realizzarsi su basi volontarie, e non imposta dalla
contingenza economica. Il fatto che l'UME sia stata creata senza
considerare questi fattori pone in luce la dimensione prettamente
ideologica di tale processo. L'UME è stata concepita come un
elemento catalizzatore per un'ulteriore integrazione economica, che
alla fine avrebbe condotto all'unione politica. Questo approccio
affonda le sue radici teoriche nell'idea che le condizioni ideali per
un'unione monetaria possano avere luogo dopo che l'instaurazione
della stessa unione, e a causa di questa. La maggiore integrazione
dovrebbe così portare alla sincronizzazione dei cicli economici. A
dieci anni dall'introduzione della moneta comune è ormai evidente
come queste aspettative fossero infondate. Le singole economie
nazionali si sono sviluppato secondo direttrici diverse. Il caso
della Germania è esemplare. Mentre nel 2000 questa nazione
presentava un deficit di partite correnti del'1,7 %, negli anni
successivi è riuscita a raggiungere avanzi anche del 7%.
Contemporaneamente a questi avanzi le economie di Spagna,
Portogallo, Francia e Italia hanno riportato dei deficit.
Tale dinamica è dovuta alla crescita dei salari tedeschi, la più
lenta dell'intera eurozona negli anni pre-crisi. I prodotti tedeschi
sono stati venduti a prezzi minori perché prodotti ad un prezzo
minore. Più precisamente, più che di bassi salari la Germania ha
beneficiato di bassi costi di produzione per unità di prodotto. Se
la produttività cresce più di quanto crescano i salari l'impresa
rimane comunque competitiva.
A partire dal 2000 la produttività del lavoro in Germania si è
attestata attorno alla media europea; ma il costo del lavoro per
unità di prodotto ha conosciuto un calo costante dal 2003. Ad oggi
il costo del lavoro per unità di prodotto in Germania supera di soli
6 punti percentuali il livello raggiunto nel 2000; nel resto
dell'eurozona è cresciuto in media di 20 punti. Evidentemente i
nostri vicini europei non hanno adottato il fatalismo tipico dei
lavoratori tedeschi, per i quali non esiste alternativa alla
moderazione salariale. Al contrario, sono riusciti a ottenere salari
migliori rispetto agli incrementi di produttività.
Questi diverse dinamiche illustrano il grande fallimento
dell'atteggiamento “mercatista” dell'UME3.
I meccanismi del mercato non sono in grado, da soli, di creare le
condizioni per uno sviluppo sostenibile delle economie nazionali
all'interno dell'eurozona. La Germania non fa eccezione. I
perduranti surplus commerciali non dimostrano la forza dell'economia
tedesca, ma soltanto la debolezza delle nazioni in deficit.
Presto o tardi gli squilibri delle partite correnti e il declino del
potere d'acquisto dei Paesi dell'eurozona si ritorceranno contro la
Germania, ed essa si ritroverà alla fine in una condizione di
insolvenza. Lo sviluppo sostenibile delle economie europee è
possibile soltanto in condizione di equilibrio delle singole partite
correnti. Questo modello di politica economica non è inedito per la
Germania. La prima Sezione della legge della Repubblica Federale
Tedesca del 1967 per la promozione della stabilità e della crescita
invoca chiaramente l'equilibrio dei conti con l'estero.
Oggi sempre più persone riconoscono che l'approccio prescelto per
arrivare all'integrazione economica ci porta invece in un vicolo
cieco. Ecco perché anche gli agitatori della retorica conservatrice
stanno facendo retromarcia e pongono di nuovo l'enfasi sul “primato
della politica”. Così facendo tentano di trionfare dove i
meccanismi del mercato hanno fallito, e cioè ottenere la riduzione
dei salari e il taglio delle prestazioni sociali in tutta Europa.
Tuttavia noi non abbiamo bisogno di una unione monetaria che è
indissolubilmente legata a certi interessi particolari, ma di
meccanismi compensativi e stabilizzatori che favoriscano uno sviluppo
economico sostenibile per ogni cittadino europeo. L'alternativa a
questi meccanismi sono i trasferimenti a fondo perduto. Se la
Germania vende beni a credito, e poi la nazione debitrice è
costretta a fare default, alla fine i tedeschi hanno venduto
beni in cambio di nulla. I meccanismi compensativi devono avere come
scopo principale assicurare l'equilibrio dei saldi commerciali.
Questo sforzo deve tenere in conto anche l'obiettivo di una maggiore
giustizia sociale.
2. a) Il dibattito attuale: come riportare in
equilibrio i saldi commerciali
La crisi europea dei debiti sovrani mette in luce diverse falle nella
struttura dell'UME.
Gli squilibri delle partite correnti che si sono accumulati in un
lungo periodo di tempo sono un grave problema, e non solo per i Paesi
in deficit. Anche in Paese in surplus come la Germania deve temerli,
visto il recente crollo dell'export tedesco verso i Paesi in crisi.
Per questa ragione quasi tutti gli osservatori nonché vari soggetti
sociali concordano sulla necessità di introdurre misure per tenere
sotto controllo le partite correnti e per correggerle quando esse si
allontanano troppo da uno stato di equilibrio. Non sono mancate le
proposte pratiche in tal senso. Due ottimi esempi sono l'External
Stability Pact e il
Macroeconomic Scoreboard.
2. b) L'External
Stability Pact
L'indisciplina di bilancio è solo una delle cause della crisi
dell'eurozona. Nel caso della Spagna e dell'Irlanda, l'esplosione del
debito pubblico è stata interamente dovuta alle misure governative
di salvataggio del sistema bancario. Nel 2007 il debito irlandese era
il 25% del Pil; oggi è il 100%. Dieci anni di sforzi fiscali per
mantenere basso il debito sono stati spazzati via in due anni. Come
l' Irlanda anche la Spagna vantava successi notevoli nel
consolidamento del debito pubblico. Ma ciò che davvero colpisce del
caso spagnolo è che la riduzione del debito pubblico era
accompagnato da costanti deficit delle partite correnti. Questo è
avvenuto per via dei debiti del settore privato.
Sebastian Dullien e Daniela Schwarzer hanno sottolineato il legame
tra i due fenomeni fin dal 2009. Essi sostengono che un difetto del
Fiscal Compact è proprio la cecità nei confronti dei debiti
del settore privato. Conseguentemente essi sostengono l'adozione di
un External Stability Pact,
che indica nell'equilibrio dei conti con l'estero il principale
criterio per giudicare un sistema economico come stabile. Secondo gli
autori di questa proposta saldo delle partite correnti, sia negativo
che positivo, non dovrebbe superare il 3% del PIL. Entro questi
margini si possono avere deficit e surplus.
Assumendo un tasso di crescita del 5%, ciò significherebbe un limite
di accumulazione dei surplus (o dei deficit) commerciali pari al 60%
del PIL4.
Entro questo limite si suppone che non esistano rischi legati alla
bilancia dei pagamenti. A differenza della Spagna, l'Irlanda aveva
deficit di partite correnti relativamente contenuti, mentre le
finanze pubbliche attraversavano una fase di risanamento. Ma le
banche irlandesi facevano troppi prestiti al settore privato. Ecco
perché Dullien e Scharzer suggeriscono di monitorare anche i debiti
del settore privato per individuare per tempo le criticità che non
emergono dall'analisi dei conti con l'estero.
I criteri previsti dall' External Stability Pact si applicano
ai surplus come ai deficit. Gli Stati che non si adeguano dovrebbero
ricevere un avvertimento preventivo. Se un Paese viola ripetutamente
le regole del patto, le sanzioni potrebbero includere un taglio dei
fondi comunitari, oppure delle multe. Al fine di limitare i poteri di
veto degli Stati, maggiori poteri dovrebbero essere attribuiti alla
Commissione Europea.
Questa proposta va nella giusta direzione, sopratutto perché non
si limita a punire i Paesi in deficit, ma costringe anche quelli in
surplus a rispettare i termini del trattato. In questo il Pact
concentra l'attenzione sulla dimensione macroeconomica, più che su
quella meramente fiscale. Invece di individuare nel debito pubblico
il criterio fondamentale perché un'economia possa dirsi stabile, la
proposta basa questo giudizio sull'equilibrio generale del sistema
economico considerato.
Ovviamente possiamo chiederci se la soglia del 3% del PIL sia
adeguata. Tale valore è appropriato solo partendo dall'ipotesi di
una crescita nominale del 5%. Ma i vari Paesi possono crescere a
ritmi molto diversi. Quelli con tassi di crescita elevati potranno
permettersi una maggiore esposizione sull'estero, mentre i Paesi che
crescono meno dovranno avere saldi più contenuti.
2. c) Il
Macroeconomic Scoreboard
della Commissione Europea
I recenti sviluppi hanno dimostrato che i criteri di Maastricht non
sono capaci di prevenire una crisi del debito del tipo che stiamo
sperimentando. Questo perché l'attuale crisi non è dovuta solo
all'indisciplina di bilancio, bensì agli squilibri macroeconomici.
Diversi governi europei stanno perciò discutendo su quali siano i
principali indizi da cui dedurre, per tempo, l'emergere di questi
squilibri. È stata menzionata la creazione di una banca dati, o
“scoreboard” (tabellone segna punti, NdT),
da cui ricavare informazioni sullo stato di salute delle singole
economie nazionali. Altri indicatori al vaglio delle opinioni sono la
posizione debitoria netta, il tasso di cambio reale in rapporto al
costo del lavoro, lo stesso costo del lavoro per unità di prodotto,
la quota dei singoli Paesi nel commercio estero ecc (European
Commission, 2011a-f).
La Commissione Europea non intende attribuire un valore legale a
questi indicatori, ossia non intende connettere alla loro violazione
l'apertura automatica di una procedura di infrazione. Al contrario,
questi indicatori servirebbero semplicemente da punti di riferimento
per il dibattito politico.
In ultima istanza ci dovrebbe sempre essere un giudizio politico al
termine del procedura di monitoraggio degli squilibri. In
contraddizione con il Fiscal Compact, gli indicatori delle
partirte correnti non prendono in considerazione soltanto le
passività: anche i surplus devono essere analizzati e giudicati. In
ogni caso al termine di questo giudizio si potrebbe arrivare ad una
procedura di infrazione, con le relative raccomandazioni della
Commissione.
Questo tentativo di ricostruire le effettive condizioni economiche
degli Stati membri adoperando diversi e numerosi indicatori
statistici rappresenta un indubbio progresso, sopratutto per quanto
riguarda la necessaria simmetria con la quale dobbiamo guardare ai
fenomeni dei deficit e dei surplus. Tuttavia questo approccio
sconta diversi problemi per quanto riguarda la raccolta dei dati e la
loro interpretazione. La domanda fondamentale è: cosa succede se
un Paese come la Germania accumula surplus commerciali per diversi
anni consecutivi? Allo stato attuale non esistono meccanismi che
possano forzare la Germania ad adottare le misure necessarie a
ridurre i suoi surplus. È più probabile che la Germania, la cui
linea è ufficiale è che gli altri Paesi europei devono diventare
più competitivi, riesca ad avere sempre l'ultima parola nell'ambito
dell'UE.
Con il suo “Patto per la competitività” il governo tedesco ha
già dimostrato come intende correggere gli squilibri macroeconomici.
Col pretesto di aumentare la competitività, il governo taglierà
le prestazioni sociali e ridurrà i salari. Nel testo governativo
è compresa la “fine dell'indicizzazione dei salari”, “il
contenimento del costo del lavoro in termini reali”, e
“l'adeguamento del sistema pensionistico ai mutamenti demografici”.
Tutto ciò obbligherà gli europei a seguire il percorso che le élite
economiche hanno già tracciato con successo in Germania: la forza
contrattuale del Lavoro verso il Capitale sarà indebolita. Abbiamo
già visto nella stessa Germania dove portano queste politiche: ad
una enorme allargamento della forbice tra ricchi e poveri.
Finché soltanto il Consiglio Europeo sarà autorizzato a prendere
decisioni riguardanti gli squilibri macroeconomici, l'egemonia
tedesca utilizzerà anche l'idea dello “scoreboard” per
devastare lo Stato Sociale europeo. Di sicuro non è questa la strada
per raggiungere uno sviluppo economico sostenibile. Diminuzioni dei
salari su larga scala ridurranno il potere d'acquisto all'interno
dell'eurozona, e danneggeranno le economie nazionali, le quali
daranno molto più peso al commercio con i Paesi extra-UE piuttosto
che allo sviluppo economico interno. Questa logica implica un
aumento dell'avanzo commerciale europeo nei confronti del resto del
mondo. Alla fine, questa strategia non farà altro che trasferire i
guai dell'Europa sulle economie del resto del mondo.
3. Una nuova strategia: la
European Clearing Union
La lezione più importante che la crisi ci consegna è che la nuova
UME dovrà basarsi sul principio dell'equilibrio delle partite
correnti tra gli Stati membri. La proposta del "macroeconomic
stability pact" va nella giusta direzione, e la limitazione
dei disavanzi commerciali è parte integrante dell'idea dello
“scoreboard” della Commissione. Ma queste proposte non
bastano: anche solo il 3% di avanzo strutturale delle economie della
Germania e del Benelux condurrebbe prima o poi ad un eccesso di
indebitamento estero degli altri Stati membri. In questo senso la
nostra proposta può essere presentata come un argine per il debito
estero.
La proposta di una “European Clearing Union” che qui
esponiamo combina aspetti specifici del dibattito corrente con una
rivisitazione di uno storico progetto elaborato negli anni '40. Anche
allora, del resto, si cercava di trarre una lezione da una grande
crisi globale.
Durante il vertice internazionale di Bretton Woods il capo della
delegazione britannica, John Maynard Keynes, avanzò l'ipotesi di un
sistema per compensare gli squilibri delle partite correnti. La parte
probabilmente più significativa del piano era il dovere di mantenere
i conti con l'estero in pareggio posto a carico sia dei paesi in
surplus, sia dei paesi in deficit.
Già allora Keynes lamentava l'insensatezza di porre a carico del
solo Paese debitore la responsabilità degli squilibri nei conti con
l'estero e l'onere di porvi rimedio. “in termini di tensioni
sociale, i costi del riequilibrio da parte della nazione debitrice,
da attuare attraverso la variazione dei prezzi e dei salari, non è
paragonabile a quello che sopportato dai creditori. (…)
La tensione sociale prodotta da un aggiustamento “verso il basso”
è molto maggiore di quella riconducibile ad un aggiustamento “verso
l'alto”, e c'è da considerare che l'aggiustamento è una scelta
obbligata per il debitore, ma una mera facoltà per il creditore.
Se il creditore si rifiuta di collaborare all'aggiustamento non
incorre in nessuna conseguenza negativa” (Keynes 1941/1980:
28). Dato che questa disparità non era soltanto iniqua, ma anche
economicamente controproducente, Keynes propose un sistema nel quale
“il peso dell'aggiustamento grava sul creditore almeno quanto
sul debitore". “Il punto è che non bisogna permettere
al creditore di rimanere inerte, perché in questo caso costringiamo
ad un'impresa impossibile la nazione debitrice, che si ritrova per
questa ragione in una posizione di debolezza” (Keynes,
1941/1980: 49).
3. a)Il piano di John Maynard Keynes
Nel 1940 il governo britannico incaricò Lord Keynes di pianificare
un modello di ordine economico globale per il mondo uscito dalla
guerra. A seguito del crollo di Wall Street del '29, della
susseguente Grande Depressione e del conflitto mondiale il commercio
internazionale era giunto ad una paralisi quasi completa. Il sistema
finanziario internazionale era rimasto instabile sin dal collasso del
gold standard del 1914, e
aveva conosciuto solo dei temporanei rattoppi. Keynes utilizzò il
prodotto della sua ricerca scientifica per sviluppare un modello di
"International Clearing Union" (ICU) basato su tre
principi:
Ogni Paese avrebbe dovuto disporre di un conto corrente presso la
nuova camera di compensazione internazionale, sul quale sarebbero
stati registrati tutti i suoi flussi commerciali, in entrata come in
uscita.
1. Una nuova valuta sovranazionale
L'unità di conto di questi flussi avrebbe dovuto essere una valuta
sovranazionale, il “bancor”, che sarebbe rimasto indipendente
dalle valute nazionali. Lo scopo era prevenire lo stato di cose a
cui erano giunti tutti i precedenti sistemi monetari, e cioè il
dominio della moneta della nazione più forte (fino ad allora la
Sterlina: fin da allora il Dollaro).
- Libero commercio, libere politiche economiche, movimenti di capitale limitati
Il sistema era concepito per stimolare il commercio
internazionale, e allo stesso tempo garantire ai governi nazionali
una sufficiente libertà di politica economica. Per favorire la
stabilità del commercio internazionale, i tassi di cambio delle
valute nazionali rispetto al bancor sarebbero stati fissi, ma aggiustabili. Parallelamente ogni nazione avrebbe conservato la
propria sovranità fiscale e monetaria in modo da promuovere crescita
e occupazione secondo i propri orientamenti. La fissità dei
cambi e la disomogeneità delle politiche monetarie nazionali (e
quindi la disomogeneità dei tassi di interesse) rendevano necessarie
forti limitazione al movimento internazionale di capitali. Ciò
faceva dell'ICU l'esatto opposto del sistema aureo pre-1914, che
assicurava massima libertà ai movimenti di capitale ma negava ai
singoli Paesi e alle loro banche centrali ogni intervento diretto in
materia di politica monetaria.
3. Un sistema per compensare i saldi con l'estero
Il terzo elemento-particolarmente istruttivo, se si tengono a mente i
difetti strutturali dell'UME sopra descritti era costituito da un
meccanismo riequilibratore dei disavanzi commerciali che operava
mediante sanzioni. Qualsiasi nazione che importi in maniera
continuativa più di quanto esporti va inevitabilmente incontro a una
crisi del debito, perché avrà bisogno di prendere a prestito
capitali stranieri per pagare le merci importate. I creditori in
genere chiedono forti garanzie, e finiscono per imporre misure di
austerità. Ma i deficit dei Paesi debitori non fanno altro che
riflettere i surplus dei Paesi creditori, visto che la somma
complessiva di tutti i saldi commerciali nazionali è per definizione
pari a zero. Perciò se i debitori si decidono a saldare i propri
debiti, i creditori devono rinunciare ai propri surplus. Questo
era esattamente quanto previsto dall'ICU, un sistema simmetrico
concepito per mettere sullo stesso piano entrambi i lati della
transazione.
Alla fine dell'anno i conti presso l'ICU dei Paesi con avanzi
commerciali avrebbero registrato un credito, mentre quelli dei Paesi
in disavanzo avrebbero registrato un saldo negativo. È consuetudine
che si remunerino i conti in attivo con degli interessi, e che gli
stessi interessi gravino, ma col segno opposto, sui titoli di conti
in passivo. La logica dell'ICU invece era l'esatto contrario5.
I surplus (e cioè conti in attivo presso la ICU) sarebbero stati
oggetto, esattamente come i deficit, di un'imposizione fiscale
progressiva a titolo di sanzione. Ciò avrebbe favorito la tendenza
all'equilibrio. I crediti e i debiti col tempo si sarebbero cumulati.
Keynes inoltre voleva introdurre soglie massime sia per i crediti che
per i debiti, e suggeriva che fosse la media dei guadagni derivati
dalle esportazioni in un dato anno. Gli avanzi soprasoglia sarebbero
stati immediatamente trasferiti al fondo di riserva dell'ICU. Questo
avrebbe impedito agli Stati di accumulare troppi crediti, e allo
stesso tempo avrebbe prevenuto l'espandersi dei debiti esteri (e cioè
dei conti in passivo presso l'ICU).
A seconda della gravità dello squilibrio, Keynes aveva preparato un
pacchetto di misure sanzionatorie ulteriori rispetto a quelle
finanziarie sopra descritte. Attraverso una politica fiscale
espansiva ad esempio un Paese in surplus avrebbe aumentato la propria
domanda aggregata, e quindi anche la domanda di beni dall'estero.
Un'altra possibile misura era l'aumento generalizzato dei salari, in
quanto esso, oltre ad aumentare la domanda di beni importati, riduce
la competitività del Paese in questione ad un livello tollerabile
per il resto del mondo.
Noi crediamo che almeno il 50% degli oneri per la creazione e il
mantenimento di un commercio estero equilibrato nell'eurozona deve
essere posto a carico delle nazioni che presentano saldi commerciali
strutturalmente in surplus. Per questa ragione proponiamo di cambiare
le regole dell'UME. Combineremo perciò le logiche sia dell' External
Stability Pact sia del progetto di Keynes del '40, fino ad
arrivare ad una European Clearing Union- un Euro 2.0.
In un'area economicamente integrata come l'UE, è del tutto
irrealistico sperare che tutti i Paesi godano ogni anno di conti con
l'estero in pareggio. Ci saranno sempre fluttuazioni di breve termine
negli scambi commerciali tra europei. Perciò il modello che ci
garantisca partite correnti in equilibrio deve intervenire sul medio
periodo, presumibilmente su un arco di 3-5 anni.
Più concretamente, la nostra proposta prevede l'adozione di limiti
vincolanti per gli squilibri delle partite correnti all'interno
dell'UE. Per il breve termine (in ipotesi un anno) proponiamo di
trarre dall'External Stability Pack di Dullien e Schwarzer il
margine di fluttuazione dei conti con l'estero (sia in passivo che in
attivo) del 3% del PIL. Tale margine dovrebbe servire da freno per le
fluttuazioni congiunturali. Un esempio potrebbe essere quello di un
Paese che sperimenta una forte crescita che porta ad un incremento
delle sue importazioni, mentre le altre nazioni europee vedono le
proprie esportazioni languire a causa di una recessione.
Ma nel lungo termine saldi del commercio estero devono essere
bilanciati. Qui è utile la proposta di Keynes. Insieme al margine di
fluttuazione del 3%, tutte le nazioni dovrebbero essere vincolate al
rispetto di un limite di accumulazione di squilibri nei conti con
l'estero pari al 50% della media dei loro guadagni da esportazioni di
un dato anno. Da qui la dizione “limite di lungo termine” per
tale soglia.
Facciamo un esempio numerico. Il Paese A produce redditi per $100. Di
questi 50 sono dovuti alle esportazioni- una situazione simile a
quella tedesca. Il margine di fluttuazione di breve periodo è pari a
$3, mentre quello di lungo periodo corrisponde alla metà di $50 e
cioè $25. Se il Paese A tocca il margine massimo consentito di
avanzo commerciale per quattro anni accumulerà $12 ($3x4), pari al
12% del Pil e al 24% dei redditi generati dalle esportazioni. Dato
che tale limite è fissato al 50% di questi redditi ($25), è chiaro
che in pochi anni (5, per la precisione) il Paese A supererà la
soglia consentita per il lungo periodo, e pertanto deve cambiare la
sua condotta.
Per assicurare il rispetto di queste misure l'ECU necessita di un
sistema di incentivi e di penalizzazioni. In maniera analoga a quanto
disposto dal Fiscal Compact, nella nostra proposta si prevede
l'apertura di una procedura di infrazione contro chi supera i limiti
e le soglie di cui sopra. La procedura si aprirebbe sia quanto un
Paese viola il margine massimo consentito di fluttuazione nel breve
periodo, sia quanto viola il limite massimo riferito al lungo
periodo. In entrambi i casi la Commissione Europea dovrebbe ammonire
il Paese in questione, e costringerlo a spiegare pubblicamente e di
fronte alle altre istituzioni europee come intende rimuove i suoi
squilibri nei conti con l'estero.
Parallelamente sarebbe sensato introdurre un meccanismo di
penalizzazione finanziaria progressiva. Sul modello della clearing
union keynesiana, le sanzioni dovrebbero fungere da deterrente contro
qualsiasi squilibrio, anche minimo. Le varie nazioni dovrebbero
pagare una penale annua pari all'1% degli squilibri accumulati sopra
la soglia del 15% del limite massimo di lungo periodo. Se gli
squilibri superano il 25% del limite la penale dovrebbe raddoppiare.
Vista la posizione di debolezza dei Paesi debitori, ben descritta da
Keynes, proponiamo che sanzioni a maggiori a carico dei creditori. I
surplus che superano il 50% del limite massimo dovrebbero portare ad
una penale del 4%; quelli che superano il 75% ad una penale dell'8%.
Il ricavato delle sanzioni potrebbe essere versato in un fondo che
finanzi le infrastrutture comuni europee, e i progetti volti a
cementare la coesione tra gli Stati. Una delle funzioni principali di
questo fondo dovrebbe essere quella di promuovere riforme strutturali
mirate al pareggio delle partite correnti sia presso i debitori, sia
presso i creditori. L'apparato sanzionatorio appena delineato
può leggersi come un sistema che costringa gli Stati con conti in
disequilibrio a partecipare in maniera costruttiva a forme di
coordinazione macroeconomica tra membri della UE. Se i membri della
UE riallineano i propri fondamentali macroeconomici, come il mercato
del lavoro, le politiche sociali, quelle fiscali e così via non
dovrebbe essere difficile per loro rispettare le soglie e i limiti
dell'ECU, nonché correggere prontamente gli squilibri in caso di
ammonimento da parte della Commissione.
Se nonostante tutto la procedura di infrazione viene aperta,
l'ammonimento iniziale dovrebbe contenere un catalogo di
raccomandazione sul modo con il quale i Paesi in deficit come quelli
surplus devono correggere i propri squilibri. In un momento
successivo il Paese sotto esame dovrebbe fornire al Consiglio Europeo
e al Parlamento Europeo un piano di compensazione dei conti con
l'estero. Tale piano dovrà contenere i dettagli sulle misure da
prendere per correggere gli squilibri. Dovrà anche contenere una
risposta alle raccomandazioni dell'atto di ammonimento. Se il Paese
rifiuta in tutto o in parte di ottemperare le istruzioni ricevute,
dovrà illustrare l'efficacia delle altre misure che intende
adottare.
Sia il Consiglio che il Parlamento dovranno votare una mozione, a
maggioranza semplice, con la quale dichiarano la propria fiducia nel
piano di correzione. Se ciò non avviene, allora il piano si intende
bocciato e il Paese dovrà elaborarne un altro.
Se guardiamo a come la crisi dell'euro è stata effettivamente
gestita, vediamo che non sono certo mancati rigorosi piani di
aggiustamento per nazioni in difficoltà come la Lettonia o la
Grecia. Tuttavia, il crollo dell'economia lettone (-18% del PIL nel
2009) e greca (-4,2% nel 2010) hanno chiarito come l'attuale
strategia di riduzione del debito non funziona in presenza di tassi
negativi di crescita. Questo metodo non può avere successo, almeno
finché, come diceva Keynes, ai Paesi in surplus è consentito di
rimanere inerti.
Fra i meccanismi di compensazione della sua Clearing Union,
Keynes includeva tre percorsi di aggiustamento: in primo luogo la
svalutazione e la rivalutazione delle monete; poi le sanzioni
finanziarie, dirette specialmente contro i surplus accumulati;
infine, misure di aggiustamento di tipo “politico”. Data
l'impossibilità, all'interno dell'eurozona, di attivare il primo
percorso, i due che rimangono devono essere implementanti in misura
massiccia. Inoltre, è sempre necessario affiancare alle misure di
aggiustamento per i Paesi in deficit quelle rivolte ai Paesi in
surplus. Queste ultime possono essere divise grossomodo in due
gruppi.
3. b) Misure per stimolare le importazioni
I surplus dovrebbero essere ridotti aumentando la domanda di beni
importati. Nella sua Clearing Union Keynes suggeriva misure
per aumentare i consumi e gli investimenti (Keynes 1941/1980: 80).
Naturalmente sarebbe auspicabile che la BCE adoperasse diversi
strumenti di politica monetaria per determinare l'allargamento o la
restrizione del credito in maniera differenziata rispetto ai singoli
Paesi6.
Considerate le restrizioni in materia creditizia, le misure per
stimolare i consumi assumono un'importanza centrale.
Gli Stati in surplus dovrebbero innanzitutto lavorare perché si
verifichi una crescita del livello generale dei salari, per esempio
innalzando gli stipendi nel settore pubblico e nelle imprese statali.
Inoltre potrebbero introdurre soglie legali minime di salario, in
modo da aumentare il potere contrattuale dei lavoratori del settore
privato, come anche concedere in maniera più generosa sussidi e
altri strumenti di sostengo al reddito e migliorando la protezione
contro i licenziamenti.
Incrementando poi la spesa pubblica in investimenti volti alla
riconversione ecologica dell'economia (nei campi dell'educazione,
dell'efficienza energetica e nel risparmio, nello sviluppo delle
energie rinnovabili, nella ristrutturazione del sistema dei
trasporti), aumentando le pensioni, ampliando le prestazioni sociali
a favore dei bisognosi si garantirebbe una significativa crescita nei
consumi interni, che si tradurrebbe in un incremento delle
importazioni.
3. c) Riforme strutturali per ridurre la dipendenza
dall'estero
Oltre ad aumentare le importazioni, è molto importante per Paesi
come la Germania ridurre la propria dipendenza dalle esportazioni, e
cominciare a dirigere la loro produzione verso il mercato interno.
Il rafforzamento della capacità di consumo favorirà questo
processo, perché indurrà le imprese che fino ad oggi si sono
specializzate nelle esportazioni ad interessarsi di un mercato
interno in decisa espansione.
Non c'è dubbio che la crescita del livello medio dei salari riduce,
in una certa misura, il vantaggio competitivo delle industrie
esportatrici. Ma allo stesso tempo noi dobbiamo affrontare la sfida
della riconversione della nostra economia in modo che essa diventi
compatibile con l'ambiente, nonché, sulla scorta del mutamento della
nostra struttura demografica, dobbiamo favorire la creazione di nuovi
posti di lavoro qualificati nel campo della salute, dell'educazione e
delle infrastrutture. La strada che porta all'economia sostenibile
passa anche da un rafforzamento della domanda interna.
.
4-Salire su un'ECU- la
traiettoria della Germania
All'inaugurazione di un sistema di compensazione come noi lo
intendiamo, tutti i Paesi coinvolti dovrebbero essere vincolati al
riequilibrio delle loro posizioni sull'estero nel giro di 5-8 anni,
in modo da non superare il limite massimo di lungo periodo. Negli
anni tra il 2006 e il 2010, la Germania ha accumulato avanzi nelle
partite correnti pari 580 miliardi di euro. Se la Germania intendesse
ridurre a zero questi surplus tra il 2011 e il 2015, dovrebbe operare
una riduzione di 16 miliardi l'anno, fino ad arrivare ad un taglio di
230 miliardi in cinque anni.
Per ridurre il suo avanzo strutturale nei confronti degli altri
membri dell'UE di almeno 80 miliardi la Germania dovrebbe aumentare
le importazione e ridurre le esportazioni. Un ottimo genere di
importazione sarebbe l'energia pulita che potrebbe essere prodotta
negli assolati Paesi del Sud Europa, e ciò sarebbe utile anche per
raggiungere gli obiettivi in tema di cambiamenti climatici che l'UE
si è posta. Sfruttando gli investimenti europei, queste forniture
energetiche potrebbero presto sostituire le importazioni di gas e
petrolio. La UE potrebbe adottare incentivi affinché la Germania
spenda parte dei risparmi accumulati in progetti di questo tipo.
Se assumiamo che circa due terzi di questi aumenti nel salario reale
si traducano in maggiori consumi, e che di questi il 10% si rivolga
verso prodotti importati, ciò vorrebbe dire che un punto di crescita
dei salari porterebbe a maggiori importazioni nell'ordine di 36-48
miliardi di euro, di cui almeno la metà provenienti dall'interno
della UE.
Ciò è inevitabile, anche se dovesse portare ad una riduzione delle
commesse per qualche industria specializzata in esportazioni. Uno dei
fattori decisivi di un mutamento strutturale di questo tipo è
proprio la misura in cui una nazione è in grado di rimpiazzare la
minor domanda estera con un'espansione del mercato interno.
Tuttavia non sarà possibile vendere sul mercato interno tutto
quello che non verrà più esportato. Per esempio sarebbe folle
impiegare nelle campagne tedesche tutto il fertilizzante che
produciamo per il mercato globale. In ogni caso anche l'idea di
vendere più auto nel mercato domestico che all'estero ignora la
complessità della situazione. La Germania esporta sopratutto costose
auto di grandi dimensioni, che sono più inquinanti di molti modelli
più piccoli che il nostro Paese importa dalla Francia o dall'Italia.
Non faremmo dunque un favore né all'ambiente né all'equilibrio dei
conti con l'estero se riempissimo le nostre strade con le grandi auto
tedesche e smettessimo di acquistare i modelli francesi e italiani.
Un'alternativa potrebbe invece essere convertire le produzioni
automobilistiche nella costruzione di oc-generatori per il
riscaldamento domestico.
Se vogliamo uno sviluppo europeo più stabile, non c'è dubbio che la
Germania deve abbandonare il suo modello orientato alle esportazioni
e concentrarsi sulla domanda interna. Questo implicherà sicuramente
ridimensionare il settore industriale, per passare alla creazione di
posti di lavoro qualificati e garantiti nel settore dei servizi.
Stiamo dunque parlando di un cambiamento strutturale che avverrà nel
medio-lungo periodo, un cambiamento che, al pari di quello dovuto
allo smantellamento dell'industria carbonifera, richiederà molta
pazienza, sforzi di fantasia e la collaborazione di tutte le
istituzioni, sia pubbliche che private.
Anche se questo cambiamento strutturale rappresenta un impegno di
enormi proporzioni, la sua implementazione pratica è possibile.
Questo è il momento opportuno per favorire questo cambiamento
attraverso una riforma del sistema economico europeo, riforma che è
ineludibile sia per ragioni sociale che ecologiche.
Bibliografia:
Deutsche Bundesbank (1997): Wechselkurs und Außenhandel,
Monatsbericht Januar, Frankfurt
am Main.
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Wechselkursveränderun-
gen, Wochenbericht Nr. 39/2004, Berlin.
Dullien, Sebastian und Scharzer, Daniela (2009): Die Eurozone braucht
einen außen-
wirtschaftlichen Stabilitätspakt, SWP-Aktuell 27, Berlin.
15
European Commission (2011 a), "The Design of the Scoreboard for
the Surveillance of Macro-
economic Imbalances: Current External Balance and Net Foreign
Financial Asset Posi-
tion", ECFIN/B1/ARES SN (2011) 140505
European Commission (2011 b), "The Design of the Scoreboard for
the Surveillance of Macro-
economic Imbalances: Export Market Shares", ECFIN/B1/ARES SN
(2011) 140472
European Commission (2011 c), "The Design of the Scoreboard for
the Surveillance of Macro-
economic Imbalances: HIPC", ECFIN/B1/ARES SN (2011) 140467
European Commission (2011 d), "The Design of the Scoreboard for
the Surveillance of Macro-
economic Imbalances: Unit Labour Costs (ULC)", ECFIN/B1/ARES SN
(2011) 140522
European Commission (2011 e), "The Design of the Scoreboard for
the Surveillance of Macro-
economic Imbalances: Real Effective Exchange Rate Based on Unit
Labour Costs",
ECFIN/B1/ARES SN (2011) 140441
European Commission (2011 f), "The Design of the Scoreboard for
the Surveillance of Macro-
economic Imbalances: Real Effective Exchange Rate Based on Unit
Labour Costs",
ECFIN/B1/ARES SN (2011) 140441
Heinen, Nicolaus (2011), "Makroökonomische Koordinierung. Was
kann ein Scoreboard-Ansatz
leisten", Deutsche Bank Research, 13 January 201, Frankfurt am
Main.
Keynes, John Maynard (1941/1980), "Activities 1940-1944: Shaping
the Post-War World: The
Clearing Union", The Collected Writings of John Maynard Keynes,
Vol. XXV, Macmil-
lan/Cambridge University Press, London/Cambridge, 1980.
16
1
Secondo la teoria delle Avo, soltanto i Paesi che
presentano forti analogie nei fondamentali economici e che
registrano tassi di sviluppo sincronici sono adatti a condividere la
stessa valuta.
2
La maggior parte dei Paesi soddisfa tale
condizione, detta di Marshall Lerner. Se però un Paese ha una
elasticità alle importazioni nulla (per esempio perché è
costretto a importare beni indispensabili, come i generi alimentari
e farmaceutici), allora la svalutazione comporta un aumento
dell'indice generale dei prezzi. Nemmeno un contestuale aumento
delle esportazioni può rimediare a un simile stato di cose.
3
Ogni essere umano razionale si chiederà a
questo punto in quale misura i padri fondatori dell'UME hanno preso
in considerazione il problema dei livelli di prezzi e salari che
crescono in maniera diversa da Paese a Paese. La risposta è
semplice quanto sconvolgente: in nessuna misura. E questo non è
l'unico difetto strutturale dell'UME. Avere un unico tasso di
interesse ufficiale per l'intera eurozona ha allargato, e non
ristretto, il divario tra le economie nazionali. Dato che
all'interno di un'area monetaria così vasta esistono sempre delle
differenze “regionali”, le nazioni che crescono più velocemente
si avvantaggiano di tassi di interesse relativamente più bassi,
dato che sono allineati alla media delle condizioni economiche
dell'intera unione. Per le nazioni che crescono meno il tasso di
interesse medio è comunque troppo alto, e non permette all'economia
di ricevere uno stimolo sufficiente. Il risultato è un avvitarsi
dei differenziali di inflazione e crescita, che produce bolle
speculative nelle economie dinamiche (è il caso dell'Irlanda) e
stagnazione, o addirittura deflazione, in quelle meno dinamiche.
4
cf. Sebastian Dullien and Daniela Schwarz
(2009): Die Eurozone braucht einen außenwirtschaftlichen
Stabilitätspakt (The Eurozone needs an External Stability Pact), p.
5 f, SWP-Aktuell 27.
5
Sotto il gold standard, il prezzo delle
valute era fissato in proporzione a un certo quantitativo d'oro. Per
aumentare l'offerta di moneta bisognava importare maggiori quantità
d'oro; e dato che l'oro era il mezzo di pagamento del commercio
internazionale l'unico modo per accumularlo era godere di un avanzo
commerciale.
6
Va chiarito che, nella pratica, molte
funzioni di politica monetaria continueranno a essere esercitate
dalle banche centrali nazionali. Questo articolo non approfondisce
il tema di quanto ristrette e differenziate a livello nazionale
possano essere le misure che incidono sull'offerta di moneta.
Tuttavia certe differenze, per esempio in materia di riserve
obbligatorie, da Stato a Stato sono realistiche e consigliabili.
inserisco commenti solo quando proprio non riesco a trattenermi. ho scritto già nei mesi scorsi un commento a un suo (credo suo, era firmato solo claudio) scritto. lei rispose acido, e capii. ora lei cita uno scritto di due tedeschi, uno dei verdi e uno dei die linke (il tipo un ex dkp, si informi prego su che razza di partito, diciamo così, era il dkp). lo scritto non ha avuto nessuna attenzione nè all'interno dei verdi nè all'interno dei die linke. che lafontaine abbia tentato di mettere in discussione l'euro, non significa, come qualcuno cerca di far credere in italia (anche lei?) che in germania ci sia chissà quale dibattito sull'euro. al massimo si discute su come evitare che la germania, euro si euro no, esca al meglio (alternative fuer deutschland), cioè sempre fottendo gli altri, dalla protesta montante. lei non conosce la germania nè la sua sinistra (ha mai letto "se questo è un uomo"? in una delle ultime pagine levi scrive due righe sui tedeschi che stavano con lui, ed è tutto sulla germania, il resto è per chi pensa a membro di segugio). se mi permetto in mettere in guardia, non lei ma i suoi lettori, sulla germania che vuole vendersi come sinistra e "internazionalista", è perchè li conosco bene 'sti crucchi. mia madre ha cucinato, a carbonia, spaghetti per una puttana della politica del calibro di dani cohn bendit, con un rinnegato ed ex ladro di libri come joschka fischer son venuto alle mani più volte, ho fondato in germania rifondazione comunista, per mollarla dopo un paio d'anni, è tutto documentato, perchè con gente del calibro del senatore spetic, di bertinotti, di ferrero, proprio non so come si possa organizzare una sinistra diciamo così alternativa al capitalismo (son suoi amici?).und so weiter und so fort, mi perdoni scendo al suo livello. mi stia bene.
RispondiEliminafranco valdes piccolo proletario di provincia
Io potrei semplicemente decidere di mandarla a quel paese, di cancellare il suo commento, oppure semplicemente di ignorarla. Tanto del suo commento non si capisce nulla, se non che io e i tedeschi siamo cattivi. Ma vorrei cercare di entrare nella psicologia di chi scrive simili commenti. signor Valdes, risponda a due domande:
Elimina- si rende conto che il fatto che la proposta venga fatta da due tedeschi è del tutto irrilevante rispetto al merito della stessa?
- mi scusi, ma io che le ho fatto? Lei scrive con astio nei miei confronti, è evidente. Perché mi tratta così? Cosa ho fatto per ferirla?
Questa impostazione contenuta nel documento, è stata affrontata dagli economisti Massimo amato e Luca Fantacci nel libro:"Come salvare il mercato dal capitalismo". Elementi in tal senso si trovano anche nella loro precedente pubblicazione:"Fine della Finanza".
RispondiEliminaCredo sia importante leggere questi testi, ma sopratutto il primo che ho citato, per approfondire l'argomento.
Credo comunque che il problema dei problemi rimanga, ovvero:come convincere la Germania a cambiare strategia? Credo che la cambierà solo quando le conviene. E il cambiamento, comunque, sarà finalizzato al perseguimento dei propri interessi.
Nel caso dell'uscita di uno o più stati dall'euro (soluzione preferibile), il pallino non è in mano alla Germania, ma è in mano ai paesi che decidono di uscire. Il problema è complesso, ma se non si tiene presente che le scelte politiche dei paesi forti sono dettate dalla convenienza e che sono i rapporti di forza a determinare le scelte politiche dell'Unione Europea, possiamo inventarci tante soluzioni alternative alla situazione attuale, ma rischiano di rimanere soltanto esercizi culturali astratti che non potranno avere sbocchi pratici.
Quello che ho detto non vuole essere un giudizio negativo sulla proposta, ma ha il grosso problema che ho accennato sopra di cui occorre, a mio avviso, tenerne conto per ogi proposta di superamento della crisi in Europa.
Grazie.
Valerio, Modena
Risvolto pratico: occorre costruire in Italia (come ovunque) un movimento d'opinione attorno a queste proposte. Lo schema della ECU, se non è affetto da insormontabili problemi tecnici (e questo ce lo devono dire gli economisti) è una proposta vincente, per cinque ragioni:
Elimina- è centrata sul cuore del problema, e cioè sulla follia delle politiche mercanitilistiche;
- toglie di mezzo le nascenti pulsioni nazionaliste (si parla di collaborazione);
- è coniugabile, e va coniugata, con un vasto piano di espansione dei redditi e delle condizioni di vita e di lavoro delle classi subalterne; in effetti l'ECU è l'unico sistema in grado di assicurare che manovre del genere non provochino crisi del debito estero;
- è coerente con la visione del mondo che dovremmo avere: riuscire a rimpaizzare l'euro con l'ECU renderebbe più plausibile la sostituzione del dollaro con l'ICU
- la proposta è in grado di attirare un forte consenso, perché non è formulata in termini negativi. Dire "usciamo dall'euro" in Italia convince un cittadino su tre; questa proposta convincerebbe un cittadino su uno. Ne sono convinto.
La questione centrale che ho sollevato non entra tanto nel merito della proposta, che per molti aspetti è sicuramente interessante, ma pone il problema della possibilità che venga accolta dalla Germania. E non credo che costruire in Italia un movimento d'opinione attorno a queste proposte possa essere sufficiente.
EliminaCome più volte è stato detto e scritto da Alberto Bagnai, l'uscita dall'euro si potrebbe evitare se la Germania fosse disponibile a praticare una politica espansiva e stimolasse la domanda interna con relativo aumento dei salari dei lavoratori tedeschi. Ma questo non lo fa e non lo farà finché non ne ha la convenienza.
La stessa cosa si può pensare che possa valere per queste proposte che, ribadisco, sono interessanti. Ma questo non basta. La caratteristica più importante che deve avere qualsivoglia proposta, a mio avviso,è questa:
l'alternativa dobbiamo prenderla nelle nostre mani, non aspettiamoci che la Germania ce la regali. E certamente non dobbiamo aspettarci che un movimento d'opinione, anche consistente, sia sufficiente per cambiare le cose.
Questo è ciò che penso.
Grazie.
Valerio, Modena
Non mi sono spiegato. Il movimento dovrebbe nascere in Italia E negli altri paesi, Germania compresa. Non penso che l'opinione pubblica tedesca respingerebbe la proposta, anzi. La Germania non è un monolite... In ogni caso il programma politico dovrebbe assomigliare più o meno a questa affermazione: "noi proponiamo un sistema monetaria rinnovato e solidale; chi ci sta ci sta" . Se i tedeschi, o chiunque altro, non ci stanno, se ne staranno fuori. Ma stando fuori non potranno procurarci (e procurarsi) danni.
EliminaQuindi come vedi la proposta non va assolutamente nel senso di aspettarsi qualche concessione dalla Germania: questa è esattamente la "strategia" della casta politica italiana, che noi combattiamo da anni. Bisogna invece prendere l'alternativa nelle nostre mani, come dici tu. L'ECU è il modo più credibile per farlo, a mio avviso.