L'integrazione europea ha dovuto scontare, nel nostro paese più che in altri, le carenze storiche, le rigidità, i ritardi e i problemi strutturali del sistema, come pure la lenta ed esitante maturazione delle forze politiche, economiche e sociali, degli apparati pubblici, della società civile e, diremmo, della coscienza stessa della collettività nazionale. (..) Col tempo, tuttavia, la situazione è progressivamente migliorata (..). Come un fiume carsico che correva al di sotto dei clamori mediatici, quel processo è andato avanti con progressione lenta ma costante, ed ha via via indebolito le resistenze degli organismi nazionali.
(Roberto Adam e Antonio Tizzano, Lineamenti di Diritto dell'Unione Europea-Giappichelli 2010)
Claudio Martini
La possibilità di stabilire la regola di soluzione di un caso è una manifestazione tipica di potere. La dottrina medievale (in special modo anglosassone) individuava due poteri tipici del sovrano: quello di Gubernaculum (l'amministrazione degli affari della comunità) e quello di Iurisdictio (la soluzione giuridica delle controversie). In altre parole, chi crea diritto comanda- e comanda in maniera sovrana. Poter stabilire norme che regolano la materia è la manifestazione principale della sovranità. Quando si delega alla UE una qualche potestà normativa, le si sta cedendo una quota di sovranità.
Per essere più precisi, l'integrazione comunitaria comporta per gli Stati che vi partecipano una forte limitazione dei loro poteri sovrani, insieme alla creazione in capo alle istituzioni comunitarie di potestà normative, amministrative e giuridizionali, il cui esercizio produce effetti nei confronti dei soggetti -pubblici e privati- appartenenti all'ordinamento interno. Costoro, dunque, essendo dotati di soggettività giuridica nei due ordinamenti, sono destinatari delle norme e dei comandi delle autorità statali e di quelle comunitarie e conseguentemente titolari di diritti soggettivi nascenti dalle norme dell'uno e dell'altro sistema.
In presenza di questo fenomeno lo Stato perde il suo tradizionale monopolio della produzione normativa, subisce consistenti limitazioni nell'esercizio delle funzioni amministrativa e giurisdizionale, e, correlativamente, i suoi cittadini si trovano sottoposti ad un sistema di pubblici poteri diverso e in potenziale contrasto rispetto a quello statale fondato sulle norme costituzionali interne.
Lo stesso quadro costituzionale ne risulta profondamente alterato, sia perché il fondamento della legittimazione dei poteri comunitari tende a radicarsi autonomamente nei trattati, sia perchè agli stessi valori costituzionali si affiancano con pari dignità quelli nascenti dagli accordi comunitari, almeno stando all'interpretazione della Corte costituzionale. Alle già citate limitazioni delle funzioni legislativa, amministrativa e giurisdizionale si è affiancata, a partire dal 1993 (che di fatto mette in pratica una scelta risalente all'atto unico europeo del 1986) la creazione di un mercato unico, che ha comportato la sostanziale perdita di controllo per gli Stati sul loro territorio, e con il trattato di Maastricht, che ha previsto l'unione economica e valutaria e la perdita a favore della BCE della manovra sui tassi e il controllo della liquidità, in una parola, della sovranità monetaria.
Le limitazioni di sovranità che caratterizzano l'integrazione europea si appuntano principalmente sull'efficacia diretta dei principali atti delle istituzioni comunitarie negli ordinamenti degli Stati membri e, relativamente a quelli normativi, sulla loro diretta applicabilità. Ciò significa che indipendentemente da eventuali atti di ricezione degli ordinamenti nazionali (addirittura vietati per i regolamenti), gli atti, ai quali sia riconosciuta quella caratteristica, producono negli ordinamenti interni effetti giuridici che i giudizi nazionali devono riconoscere.
Ma questo è costituzionalmente possibile?
Ora, la Costituzione italiana consente le limitazioni sovranità, in condizioni di parità con gli altri Stati, necessarie alla costruzione di ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni. In virtù di questo principio fondamentale della Costituzione, l'Italia può rinunciare a parti della propria potestà normativa a vantaggio delle organizzazioni internazionali che rispettino certi requisiti, relativi alla parità dei partecipanti e allo scopo dell'organizzazione stessa: la giustizia e la pace tra le nazioni.
Lo strumento con il quale gli Stati fondano e definiscono le organizzazioni internazionali è sempre il trattato internazionale. La Costituzione italiana autorizza l'esecutivo a firmare trattati internazionali, e le Camere a ratificarli e darne congrua attuazione.
Tale è il dettato costituzionale in tema di rapporti con l'estero. In questo contesto è capitale l'art 11. Ma come è stato possibile che un articolo in cui si dichiara che l'Italia ripudia la guerra sia stato interpretato come avallo costituzionale alle "missioni di pace", così è accaduto che lo stesso articolo, che nella seconda parte dispone "limitazioni di sovranità" al fine di garantire "pace e giustizia tra le nazioni" sia stato interpretato come "appiglio" che consente all'Italia di sciogliersi, gradualmente, nella struttura dell'UE.
È evidente che l'Assemblea Costituente immaginava quell'articolo nella prospettiva della partecipazione italiana ad una rinnovata "Società delle Nazioni" (l'Italia sarebbe entrata nell'ONU nel 1955).
Ciò non ha impedito alla nostra Corte Costituzionale di assecondare pedissequamente l'orientamento della Corte di Giustizia delle Comunità europee, da sempre decisa ad affermare il principio di prevalenza del diritto UE sui diritti nazionali.
L'orientamento della Corte Costituzionale in questo campo non è sempre stato univoco, e in seguito daremo conto della sua "evoluzione"nel corso dei decenni; basti dire che l'approdo è costituito dal riconoscimento della diretta applicabilità della normativa UE nell'ordinamento italiano, e la subordinazione di questo a quella.
È inoltre interessante notare come in quasi tutti i paesi europei l'adesione alla Comunità europea (e alle sue successive trasformazioni) sia stata accompagnata da riforme costituzionali tese a rendere "legittima" tale adesione. In Italia abbiamo avuto invece l'equilibrismo delle Corte Costituzionale, che per decenni ha sopperito con la sua giurisprudenza alla mancanza di una norma costituzionale che regolasse specificamente i rapporti tra l'Italia e la UE. Vedremo che alla fine una norma costituzionale la classe politica italiana l'ha partorita, e si tratta dell'art 117 della costituzione, così come è stato riscritto dalla riforma del 1999.
Ma quello che è importante afferrare è che , sic legibus stantibus, la sovranità dell'Italia è già stata (quasi) del tutto dilapidata; e che ciò è avvenuto sottotraccia, senza rumore e senza coinvolgimento popolare. Vale la metafora della rana bollita: messa nell'acqua fredda, l'animale non si accorge del costante e inesorabile innalzamento della temperatura, e finisce lessato.
Nel prossimo post illustreremo le tappe di questa bollitura.
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