di Claudio Martini
Questo è un breve saggio di due
deputati al Bundestag tedesco, una del gruppo dei Verdi e uno del
gruppo della Linke. È vecchio di più di due anni: questo blog non
esisteva ancora, e nemmeno quello di Alberto Bagnai. Non sembra che
abbia riscosso grandi risultati, e nemmeno grande attenzione.
Tuttavia lo ritengo un'utilissima base di discussione di quello che
potrebbe essere una seria proposta politica, ed è per questo che
l'ho tradotto e ve lo presento (qui la versione originale)
Il maggior pregio del saggio è che
presenta un'alternativa sia al mantenimento del disastroso status
quo sia al semplice ritorno alla
situazione pre-euro. È infatti evidente che il progetto tedesco di
dominio economico dell'Europa costituisce una seria minaccia ai
nostri diritti e al nostro benessere, con risvolti che potrebbero
essere ancora più catastrofici: una delle suggestioni più
interessanti del saggio è quella secondo la quale un'Europa tedesca,
e cioè un'Europa che accumula stabilmente surplus commerciali con il
resto del mondo, non fa altro che scaricare i suoi problemi sui Paesi
extra-europei; con in più la considerazione che questo atteggiamento
mercantilista, applicato su tutta Europa, innesca inevitabilmente
ritorsioni a livello internazionale, ponendo le basi di una nuova,
pericolosa guerra commerciale a livello globale.
Ma è altrettanto
evidente (almeno per chi scrive) che la proposta del ritorno alle
valute nazionali è ormai patrimonio esclusivo delle forze
nazionaliste europee, da Farage a Le Pen. Ciò non significa che la
proposta sia un errore in sé, ma che bisogna ammettere che i
tentativi di farne un programma per le forze democratiche dei Paesi
europei è ormai del tutto fallito. E così l'Unione Europea, che
doveva aprire la strada ad un nuovo nazionalismo pan-europeo, è
divenuta l'incubatrice per la rinascita dei vecchi nazionalismi
“nazionali”: saranno questi ultimi, quando e se cadrà l'euro, a
gestire il processo di ritorno alle valute nazionali. Con tutte le
inquietanti conseguenze del caso.
L'idea
fondamentale del saggio è che non si debba passare da una
competizione a cambi fissi (cioè al sistema dell'euro) ad una
competizione a cambi flessibili (cioè al semplice ritorno alle
valute nazionali), ma approdare finalmente ad un ordinamento
cooperativo e non competitivo in Europa. Per far questo gli autori si
richiamano a quello che è stato l'esito geniale della speculazione
intellettuale di John Maynard Keynes, ovvero alla proposta di
istituire una International Clearing Union (ICU),
una camera di compensazione degli squilibri delle partite correnti
dei singoli Paesi. Come è noto l'impianto complessivo della proposta
di Keynes di un ordine economico del mondo uscito dalla Seconda
Guerra è stato accettato solo in parte a Bretton Woods, ed è poi
stato smantellato progressivamente negli anni. Ora ci troviamo sotto
il regime del dollaro, ed è questa la principale ragione alla base
delle crisi finanziarie che funestano l'economia mondiale (l'ultima
nel 2008; la prossima tra pochi anni). Perciò l'idea dell'ICU
rappresenta ancora oggi la vera alternativa ad un sistema monetario
basato sul predominio di una singola potenza, e perciò stesso
intrinsecamente instabile e pernicioso.
Calandoci nel
contesto europeo, noi troviamo che se alla base del progetto dell'UE
c'è l'idea che la competizione mercantilistica vada promossa, ma
vada anche regolata in modo che non degeneri in conflitti armati
(come era avvenuto negli anni precedenti alla Prima Guerra Mondiale),
caposaldo della proposta keynesiana è che le nazioni devono essere
libere di perseguire la politica economica che vogliono all'interno
dei propri confini, ma che questo è possibile solo in un quadro di
cooperazione e di regole condivise. Le nazioni perciò conservano le
leve della politica fiscale e della politica monetaria, e possono
utilizzarle per raggiungere la piena occupazione e lo sviluppo della
società; ma se qualche Paese tenta di aggredire gli altri dal punto
di vista commerciale scatta un meccanismo riequilibratore il quale,
mediante sanzioni* di varia natura, riporta la situazione alla
normalità. Per fare ciò la possibilità delle monete di
apprezzarsi/deprezzarsi nei mercati internazionali è ridotta (ma non
eliminata), ma in compenso è fortemente limitata la capacità da
parte dei capitali di muoversi da un Paese all'altro, costringendo
tutti ad una “asta al ribasso” per attirarli.
Il
sistema di Keynes, eliminando la competizione, apre per tutti i paesi
la Via per la Prosperità (non a caso è questo il titolo di un'opera
dell'economista britannico). L'ottima intuizione dei due deputati
tedeschi consiste nel sostituire l'euro con un sistema che, nella
sostanza, ricalca l'ICU: da qui il nome European Clearing
Union scelto per la loro
proposta.
In
realtà, gli autori del saggio non invocano il ritorno alle valute
nazionali, pur ancorate ad una valuta sovra-nazionale (un Bancor
europeo), e nemmeno intendono incidere sugli attuali Trattati UE:
tutte cose, a parere di chi scrive, assolutamente indispensabili. Ma
il valore dell'intuizione rimane. Vorrei dunque che si sviluppasse un
dibattito che prendesse spunto da queste suggestioni, vuoi aderendo
interamente alla proposta dei due autori vuoi propendendo per
l'applicazione, sic et simpliciter,
dello schema keyenesiano all'attuale eurozona. Quest'ultima idea
avrebbe il vantaggio di sgombrare il campo dalla preoccupazioni,
instillate ad arte fra i cittadini dai maestri della persuasione
occulta, legate alla dissoluzione dell'euro, e rappresenterebbe una
proposta costruttiva e “positiva” invece che semplicemente
“negativa”, come putroppo appare l'idea di uscire dall'euro.
Inoltre sul piano pratico questa proposta garantirebbe un ordinamento
macro-economico idoneo, forse più che il semplice ritorno ai cambi
flessibili, a favorire l'adozione di misure per l'espansione dei
redditi e delle opportunità dei ceti subalterni, e persino di misure
“decresciste”; infine rappresenterebbe, se implementato, un
paradigma per il mondo intero. Un ECU al posto dell'euro spianerebbe
la strada ad un ICU al posto del dollaro.
Naturalmente può
darsi che questa via sia impercorribile per insuperabili ragioni
tecniche; per questo sarebbero particolarmente gradite le recezioni
critiche da parte dei nostri amici economisti. Con l'accorgimento che
le obiezioni tecniche non devono esaurire il dibattito sulla sostanza
e sul senso dell'intera operazione, che dovrebbe meritare una
discussione a parte.
Vi auguro quindi
buona e proficua lettura, con due avvertenze:
il “succo”
della trattazione è concentrato nella parte prima, nell'inizio della seconda e nella terza, anche se ciò non vuol dire che leggere le altre parti sia
una perdita di tempo;
ho operato
vari tagli nella parte quarta, perché riguardavano solamente la
Germania e non aggiungevano granché al merito della proposta.
*intendiamoci
sul significato di “sanzioni”: per Keynes chi adotta un
atteggiamento aggressivo e non cooperativo, come la Germania di oggi,
deve essere in primo luogo “condannato” a diminuire la propria
disoccupazione, ad aumentare la spesa pubblica, a incrementare i
salari; chi direbbe che queste sono “sanzioni”?